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Carmelo Imbriani, due anni dopo il ricordo vive

Carmelo Imbriani, due anni dopo il ricordo vive

Oggi sono due anni. Martedì scorso avrebbe compiuto 39 anni. Spezzati da un brutto male, chiamato malattia di Hodgkin, a spezzare la carriera e la vita di uno che per il calcio aveva dato tutto: oggi, due anni fa, se ne andava via Carmelo Imbriani, attaccante nato a Benevento ma diventato una delle ultime bandiere del Napoli.

Soprattutto, uno degli ultimi a indossare l’indimenticabile maglia numero dieci, quella di Maradona, forse il più grande calciatore di sempre, di sicuro uno che sotto il Vesuvio è ancora considerato dio.

Con la 10, all’esordio da titolare in serie A, Imbriani segnò il primo gol della carriera il 14 maggio 1995 a Brescia, in uno stadio in cui dieci anni prima El Pibe de Oro aveva segnato il primo gol della cavalcata partenopea verso il primo scudetto. Fu un segno del destino, una promessa di bagliore e di gloria? Niente più di questo.

Da allora, Imbriani collezionò 32 presenze e 3 reti in A e cominciò a peregrinare in giro per l’Italia, alternando presenze in serie B a quelle nella vecchia e indimenticata serie C1: dalla Pistoiese al Casarano, dal Genoa (dove arrivò il cambio di ruolo, e il posizionamento definitivo a centrocampo) al Cosenza, dalla Salernitana al Foggia, fino all’approdo finale nella sua amata Benevento.

Un ritorno alle origini, con i colori giallorossi del Sannio mai cancellati dal cuore. Dal 2006 al 2009 come calciatore, dal 2009 al 2011 come allenatore, la storia di Imbriani si era fusa a quella della squadra della sua città: una storia, la sua, che si era rivelata molto meno scintillante rispetto alle promesse delle prime partite in serie A.

Ma un calciatore non va giudicato solo per la bravura: a volte sono altre le doti che vanno apprezzate. Basta, si fa per dire, l’orgoglio, l’attaccamento ai colori, la dedizione: e, a Benevento, Imbriani non l’hanno dimenticato, se nel settembre 2013 gli hanno intitolato l’antistadio dell’impianto di Santa Colomba.

Il minimo, per ricordare uno che ha mollato solo sotto i colpi di un male incurabile. E che oggi, a distanza di due anni, a Napoli è ancora Game Boy – soprannome coniato da Auriemma – e a Benevento, semplicemente, il Capitano.

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