Sette anni dopo il primo centro messo a segno dal Pistolero, Alberto Contador coglie nuovamente il bersaglio grosso: il Giro d’Italia 2015 è suo! Si tratta del settimo Grand Tour – all’attivo anche due Tour de France e tre Vuelta a Espana – messo in bacheca dal più forte corridore da corse a tappe dell’ultimo decennio, colui che più di ogni altro sa rendere emozionante, con la sua danza sui pedali, lo spettacolo delle due ruote, riuscendo a far divertire appassionati e non. Un gigante agonisticamente ed umanamente: la sua umiltà, il suo rispetto per gli avversari lo rendono apprezzato in primis da quegli stessi colleghi da lui battuti.
Una cavalcata vincente, quella rosa, cominciata sin dalla cronosquadre inaugurale in Liguria disputata lo scorso 9 maggio, dove la sua Tinkoff-Saxo ha risposto presente, infliggendo discreti distacchi a tutto il resto della concorrenza. Partito con i favori del pronostico, dall’alto del suo curriculum, lo scalatore iberico non ha fatto altro che correre alla sua maniera su un percorso apparentemente disegnato per le sue caratteristiche. Prova ne è la frazione spartiacque dell’intera corsa, la cronometro Treviso – Valdobbiadene, dove la sua classe e la sua potenza gli hanno permesso di fare il vuoto sugli avversari con distacchi d’altri tempi.
Un calcio alla sfortuna, in quell’occasione, che l’aveva già penalizzato con due cadute nel corso della settimana: la prima in particolare, quella di Castiglione della Pescaia, aveva rischiato di mettere a repentaglio la sua permanenza al Giro (emblematica l’immagine della sua difficoltà ad indossare la rosa sul palco delle premiazioni). Ma la ruota gira e la fortuna aiuta gli audaci: e così il discorso si è di fatto chiuso con quell’esagerata (per via di quell’improponibile chilometraggio ammazza-scalatori) prova contro il tempo.
Non che sia stato da meno nelle tappe alpine e dolomitiche. Si veda la tappa del Mortirolo: un vero capolavoro, quello da lui compiuto lungo la terribile salita valtellinese, una indubbia prova di forza di fronte alla quale ognuno avrebbe il dovere di inchinarsi. E pure nelle altre frazioni ha saputo brillantemente fronteggiare – se si eccettua la più che comprensibile fatica avvertita al Sestriere -una concorrenza che non è stata poi a guardare.
Mancante di una squadra che, malgrado il blasone dei nomi, si è dimostrata poco all’altezza nei momenti topici della corsa, lo scalatore iberico ha fatto tutto da solo, contro una Astana comportatasi come la più grande compagine in corsa. Mikel Landa re di Madonna di Campiglio e Aprica, Fabio Aru mattatore a Cervinia e Sestriere: i due ragazzi, che vanno a completare il podio, sebbene a giorni alterni (specie per il sardo, in difficoltà nella seconda settimana) sono riusciti a limitare almeno in parte lo strapotere del madrileno e a raggiungere la consapevolezza che il palcoscenico del futuro tutto per loro.
Il futuro, appunto. Perché il presente risponde al nome di Alberto Contador. È il suo secondo Giro (ancora senza vittorie), ma sarebbe il terzo, come indica orgogliosamente sul traguardo di Milano, perché fu lui in quel 2011 a dominare sulla strada, prima che qualcun altro pensasse bene di privarlo, lontano dalla strada, di ciò che aveva legittimamente conquistato.
Al 98° Giro d’Italia ha vinto il più forte: Chapeau Alberto, ti aspettiamo al Tour.