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Giro d’Italia 2015, il bilancio finale: vincitori e vinti

Si è chiuso nel segno di Alberto Contador il Giro d’Italia 2015. Un’edizione, la numero 98, caratterizzata da emozioni e colpi di scena sin dal primo giorno, ma conclusa col successo annunciato del più grande fuoriclasse al via, al suo settimo Grand Tour della sua formidabile carriera.

Ma non è stato lo scalatore iberico l’unico protagonista della Corsa Rosa, in cui tanti sono i nomi da ricordare. Se Alberto Contador è il presente, Fabio Aru è il futuro del ciclismo, italiano ed internazionale. Il corridore sardo ha proseguito nella sua opera di maturazione, migliorando il terzo posto dello scorso anno con un secondo che lo rende, di fatto, il primo tra gli umani. Non sono mancate le difficoltà per il Cavaliere dei Quattro Mori, partito dalla Liguria con preziosi giorni in meno di allenamento a causa di un virus intestinale che l’ha costretto a  saltare le ultime corse di preparazione.

Sembrava che la condizione fosse comunque tornata al top, invece gli sforzi compiuti sono stati pagati nel corso della seconda settimana. Ma la grinta del futuro campione è venuta a galla nelle ultime faticosissime giornate: prima il sussulto a Cervinia, luogo che l’ha fatto conoscere al mondo da under 23, poi, il giorno seguente, il memorabile bis al Sestriere, nella tappa con la Cima Coppi, il Colle delle Finestre. E la maglia bianca di miglior giovane a Milano è il miglior premio.

Il futuro è certamente roseo per Aru, così come quello del compagno di squadra Mikel Landa, partito in sordina i primi giorni, ma di fatto il più forte in salita assieme a Contador: due successi prestigiosi – Madonna di Campiglio e Aprica – e un terzo posto nella generale che gli permettono di guardare con fiducia all’avvenire.

Tante le note positive nella top 10 del Giro. Come non menzionare gli encomiabili sforzi compiuti quotidianamente da Ryder Hesjedal e Steven Kruijswijk? E’ mancato ad entrambi un successo che avrebbero meritato appieno: al canadese, ex vincitore di Giro, ma obiettivamente lontano dall’idea di poter realizzare un improbabile bis, è stato per ben due volte Fabio Aru a sbarragli la strada; ma il quinto posto finale, secondo miglior piazzamento della sua carriera in un Grand Tour, rappresenta qualcosa di prestigioso, così come l’audacia mostrata dal ventottenne neerlandese, che proprio sulle strade italiane, nel 2011, si mostrò al mondo con un promettente settimo posto.

E veniamo alle sorprese nei dieci: dal quarto posto di Andrey Amador al nono di Alexandre Geniez, fino al decimo di Yuri Trofimov. Fa molto piacere notare la presenza in ottava posizione di Damiano Caruso, ragazzo serio, umile, sempre a disposizione della squadra, che ha avuto l’opportunità di vestire i gradi di capitano, ricambiando la fiducia della sua Bmc.

Tre almeno le delusioni cocenti. Se alla partenza da San Lorenzo al Mare erano quattro i fari della corsa, due si son persi per strada. Il ritiro di Richie Porte sa di sconfitta: vero che la sfortuna sembrava essersi accanita con il corridore australiano, ma il non essersi mai messo in luce e l’aver chiuso con il tracollo di Madonna di Campiglio bruciano fortemente. Per il dominatore delle brevi corse a tappe del 2015, ancora bollino rosso per le prove di tre settimane.

Delude anche Rigoberto Uran, che ha trovato una buona gamba soltanto nelle ultime due giornate. Troppo poco per uno reduce da due podi consecutivi: avrà tempo di rifarsi, ma in questo caso è respinto. E che dire, poi, di Jurgen Van Den Broeck: il ritorno in Italia a distanza di diversi anni non è stato certo dei migliori e, se si esclude l’ottima crono di Valdobbiadene, in salita ha fatto davvero poco. Male al Tour de France nelle ultime annate, corsa per la quale impostava l’intera stagione, male anche nella prova d’appello del Giro.

Lasciamo ora i corridori da classifica e prendiamo in considerazione i cercatori di tappe. Chi di questi ha raggiunto la gloria? Sicuramente Philippe Gilbert, che ha collezionato due gioielli che rimarranno nel suo ricchissimo palmares: lui ama l’Italia, non l’ha mai nascosto e ha ripagato a Vicenza e Verbania l’amore che il pubblico azzurro gli ha tributato, riportandolo a grandi livelli dopo un momento di appannamento.

Tutti i vincitori delle ventuno frazioni meriterebbero di essere ricordati, da Elia Viviani che ha finalmente centrato il suo primo successo al Giro d’Italia fino ad Iljo Keisse che ha concluso trionfalmente la passerella di Milano; da un Michael Matthews che continua a mostrare il suo feeling con l’Italia al russo Ilnur Zakarin, protagonista di una bella cavalcata vincente ad Imola. Restano ancora nel ricordo di questo Giro anche le due affermazioni di Sacha Modolo, che finalmente ha fatto valere la sua potenza allo sprint, e lo straordinario assolo di Davide Formolo, la faccia giovane e pulita del ciclismo: che futuro brillante che si prevede per il giovane veronese! E pure chi non ha vinto merita una lode: si faccia solo il nome di Giovanni Visconti, che c’ha provato in tutti i modi per portare a casa qualcosa di prestigioso e alla fine è stato premiato con una sorprendente maglia azzurra.

 

Infine brevi considerazione sulle squadre. Onorare il Giro d’Italia, secondo evento ciclistico più importante, è imperativo imprescindibile per ciascuna formazione al via. Ma davvero ciascuna di loro ha fatto di tutto per onorarlo? La Astana certamente si: torna a casa con ben cinque successi (alle due vittorie ciascuno di Fabio Aru e Mikel Landa anche quella di Paolo Tiralongo a San Giorgio del Sannio), una maglia bianca, i due terzi del podio e una squadra che ha mostrato davvero pochi punti deboli, dal primo all’ultimo elemento.

La sua avversaria doveva essere la Tinkoff-Saxo, spesso rimproverata di aver  lasciato da solo Alberto Contador nei momenti decisivi. Innegabile ciò: quando la strada era all’insù, l’iberico si è trovato molto spesso da solo. Ma è pur giusto sottolineare il grande lavoro svolto dai passisti: da Matteo Tosatto a Manuele Boaro, da Michael Rogers a Roman Kreuziger. Chi è mancato è stato Ivan Basso, al suo primo Giro da mental coach:sicuramente buoni i consigli dispensati al suo capitano, dall’alto della sua esperienza, ma sulla strada ha fatto davvero poco.

Deludono tante corazzate, dal robotico Team Sky, che si perde in un bicchier d’acqua nella densa di polemiche frazione dell’Abetone, all’Etixx-QuickStep: la prima può comunque gioire per i successi di Elia Viviani e Vasil Kiryenka, la seconda proprio nel rush finale di Milano con Iljo Keise.

lampreGrande il Giro della Lampre-Merida, unica WorldTour italiana: quattro vittorie di tappa (due Sacha Modolo, una Jan Polanc ed una il piacevole ritorno di Diego Ulissi). Bene, tra le altre formazioni azzurre, la Bardiani-Csf: non è stato eguagliato lo straordinario Giro dello scorso anno, è vero, ma la vittoria di Nicola Boem e i numerosi tentativi, tra gli altri, di Enrico Battaglin a Vicenza e di Manuel Bongiorno a Verbania sono da considerarsi ottimi risultati. Il #greenteam dei Reverberi continua a riscuotere risultati migliori di tanti club più blasonati.

Tanto impegno, ma scarsi risultati per le altre compagini nostrane: Androni-Sidermec (applausi per la grinta del veterano Franco Pellizotti e per il sempre presente Marco Bandiera), Southeast (fughe, piazzamenti, ma nulla più) e Nippo-Fantini (che sfortuna perdere i due capitani Daniele Colli e Damiano Cunego per colpa delle cadute) hanno dato tutto, c’è da crederci, ma non è bastato per agguantare un successo vitale per le piccole formazioni.

Applausi per l’Orica-GreenEDGE dominatrice della prima settimana, per la Katusha che ha trovato nei russi Trofimov e Zakarin i punti di forza, per la Ag2R La Mondiale che malgrado abbia perso per strada lo sfortunatissimo Doienico Pozzovivo, si è adoperata, pur senza riuscirci, per agguantare qualche buon risultato. Qualche fischio, invece, per chi ha fatto davvero poco per onorare la corsa. Un nome? la Giant-Alpecin: quattro capitani lasciati a casa (Degenkolb, Kittel, Domoulin e Barguil) e soltanto qualche piazzamento raccolto da Luka Megzec e Simon Geschke.

Ultima battuta. Si parlava alla vigilia di Giro a misura d’uomo, più abbordabile rispetto alle passate edizioni. Molti dei corridori, dopo aver concluso la kermesse, hanno sottolineato come raramente in passato avessero affrontato un percorso tanto duro. Merito di Mauro Vegni e dello staff organizzativo di RCS Sport, che hanno ideato un tracciato davvero geniale, che ha regalato tanti momenti mozzafiato ma, al tempo stesso, ha rivelato un neo: il Giro si è di fatto deciso prima delle grandi montagne, a Valdobbiadene, a causa di 60 km programmati contro le lancette, proprio come molti temevano. Quante emozioni in più avremmo provato se la prova contro il tempo avesse avuto un chilometraggio più limitato?

Il Giro d’Italia 2015 è terminato. Ora il conto alla rovescia verso il Tour de France.

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