C’è chi vince ma non è amato e chi, pur non ripetendo i suoi tanti trionfi più o meno recenti, è apprezzato e osannato. Appartiene a questa categoria Alberto Contador, partito dall’Olanda con l’ambizione di realizzare la storica accoppiata Giro d’Italia – Tour de France a sedici anni dall’ultima targata Marco Pantani. Fallisce, il Pistolero, ma che spettacolo in corsa: quando appende un numero sulla schiena, niente è banale accade e tutto è sempre in bilico.
Gli sforzi di un Giro vinto con autorità gli impediscono di essere competitivo alla Grande Boucle, proprio come accaduto nel 2011. Ci prova fino alla fine, fino all’ultimo giorno quando le energie, già esigue, sono ormai ridotte al lumicino. Ci prova infiammando il pubblico, con la ferma consapevolezza di essere uno dei rari corridori in grado di entusiasmare in ogni apparizione, per caratura tecnica e morale.
In un ciclismo oramai sempre più tattico, in cui si attendono gli ultimi chilometri per tentare un’azione e in cui, anche se hai le gambe, rischi di perdere il Tour per troppo attendismo, lo spagnolo della Tinkoff-Saxo è ancora capace di comportarsi diversamente: che siano 10, 20 o 50 chilometri all’arrivo, poco importa. Conta la sfrontatezza in bici e la caparbietà di cercare il colpaccio: non si parte per un piazzamento – che poco aggiunge a uno che ha vinto 2 Tour, 2 Giri e 3 Vuelte – ma per la vittoria.
“È stato un Tour molto duro, fisicamente e psicologicamente“, rivelato con un pizzico sì di delusione, ma con l’orgoglio di chi sa che non può avere rimpianti. “Volevo tentare l’accoppiata, ho corso da protagonista, ora penso soltanto a recuperare”. Tra una settimana sarà al via della Clasica San Sebastian, probabilmente la sua ultima apparizione di un 2015 davvero faticoso, ma avverte: “Tornerò nel 2016 stramotivato“, senza disdegnare il sogno olimpico di Rio 2016.
Ha avuto la meglio chi si è specificatamente preparato per l’appuntamento francese, ma chapeau, Alberto!