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Nairo Quintana è futuro già presente, ma che rimpianti!

Che Nairo Quintana fosse il più temibile nel corso della terza settimana del Tour de France lo si ripeteva sin dalla vigilia della Grand Depart della 102^ Grande Boucle. E il giorno del gran finale sui Campi Elisi, la conferma di quella felice valutazione: il colombiano ha reso palpitante la gara fino all’ultimo giorno, riuscendo a riaprire un discorso che sembrava già chiuso giorni addietro per lo strapotere mostrato dal vincitore Chris Froome.

Venticinque anni1 Giro d’Italia e 2 maglia bianche al Tour all’attivo. È senza alcun dubbio roseo – o giallo, per rimanere in tema – il futuro dello forte scalatore sudamericano, che preferisce allenarsi in disparte sulle sue Ande nel resto della stagione, lontano dai riflettori, ma sa farsi trovare pronto quando è il momento di scoprire le carte in tavola. Nelle due tappe decisive – La Toussuire e Alpe d’Huez – rosicchia oltre due minuti a Chris Froome – e la domanda che in molti si pongono è la stessa: e se avesse attaccato con qualche giorno di anticipo?

 

Il Tour, il venticinquenne di Combita, l’ha perso nella prima settimana, con quei quasi due minuti lasciati tra i ventagli di Zealand e l’arrampicata a Huy. Verso Pierre San Martin, poi, un ulteriore minuto di distacco. Ma la condizione c’era sul Massiccio Centrale e soprattutto sulle Alpi, intraprese però come colui che non credesse più ormai nella sua missione. L’ha capito tardi che il Giro avrebbe ancora potuto giocarselo; l’ha capito a La Toussuire, mentre Nibali andava a vincere e lui staccava un Froome tutt’altro che brillante. Non è bastata, poi, l’Alpe d’Huez per rimettere le cose apposto.

Facile parlare col senno di poi e ancor più facile parlare da esterni. Gli organizzatori dell’Aso hanno però disegnato il Tour più duro dell’ultimo decennio per permettere ai tifosi di non annoiarsi neppure per un minuto, eppure qualcuno si chiede “Sarebbe bastata una sola tappa di montagna in più per…”. Di salite ce ne sono state, e Nairo Quintana, futuro già presente del grande ciclismo, qualche rimpianto può averlo.

Chi non deve averne affatto è invece Alejandro Valverde, compagno del colombiano al Team Movistar. Una carriera scandita da tante perle nelle Classiche e, all’età di 35 anni, il sogno realizzato di salire sul podio della più importante corsa a tappe. Scoppia in lacrime, l’asturiano, al termine della frazione dell’Alpe d’Huez così come sui Campi Elisi, perché si rende conto di esser riuscito a tramutare in realtà ciò che ogni corridore sogna sin da bambino. Aveva provato tante volte a fare classifica al Tour, ma la strada l’aveva sempre respinto, così come lo scorso anno, quando subì un drastico calo che gli era costato un piazzamento nei primi tre.

Ci riesce stavolta: ha meno pressione addosso perché è al via con l’onere di aiutare Nairo Quintana – egregio il lavoro delle ultime giornate – e riesce a resistere in terza posizione, respingendo proprio l’assalto finale di Nibali. Molti non amano il suo modo di correre, troppo attendista e troppo egoista. Stavolta fa tutto bene: niente critiche, soltanto complimenti.

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