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Da Villacidro a Madrid, l’ascesa di un campione: Fabio Aru!

San Gavino Monreale. È da questo piccolo comune del Medio Campidano che comincia, il 3 luglio 1990, la storia di Fabio Aru. Una storia indissolubilmente legata a tre altre località: Villacidro, dove cresce trascorre gli anni dell’infanzia; Bergamo, dove a 18 anni si trasferisce per coltivare la sua più grande passione, quella per il ciclismo, lasciando in Sardegna tutti gli affetti; Madrid, dove, venticinque anni dopo la sua nascita, giunge la tanto attesa consacrazione del nuovo campione dell’Italia del pedale.

Un’ascesa irresistibile, quella del corridore in forza alla Astana, passata per due podi ottenuti al Giro d’Italia e culminata con la vittoria alla Vuelta a España 2015, suo primo Grand Tour proprio seguendo le orme del più grande corridore azzurro degli ultimi anni, Vincenzo Nibali.

Fabio Aru è il sesto corridore italiano a salire sul podio di Madrid da vincitore. Angelo Conterno 1956, Felice Gimondi 1968, Giovanni Battaglin 1981, Marco Giovannetti 1990, Vincenzo Nibali 2010 e Fabio Aru 2015.

Una prova di forza sul suo terreno prediletto, la salita, quella su cui si è fatto le ossa negli anni da juniores e da under 23, quella che l’ha visto già vincitore di due tappe alla Vuelta 2014 (San Miguel de Aralar e Meis) e di 3 ai Giri 2014-2015 (Montecampione, Cervinia e Sestriere, vette mitiche). Ed è sulle salite più dure che il Cavaliere dei Quattro Mori costruisce il suo successo alla Vuelta 2015.

È l’undicesimo giorno, si corre la Andorra – Cortals d’Encamp, primo vero tappone della 70^ edizione: in soli 140 km, dislivello di quasi 5000 metri. Ed è qui che Aru pone il primo mattoncino: maglia rossa conquistata e prima, piccola ipoteca sulla vittoria finale. Sui Pirenei è il solo Joaquin Rodriguez ad impensierirlo, inserendosi nella lotta per la leadership. Ma ecco che giunge la cronometro di Burgos che paventa una nuova possibilità: Tom Dumoulin, coetaneo olandese, fortissimo in pianura ma altrettanto solido in salita e probabilmente sottovalutato da tutti nel corso della prima parte di gara, è la nuova maglia rossa con 3″ di vantaggio.

Tre secondi, che vuoi che siano da recuperare con tre tappe restanti. Ed invece quei secondi sembrano un’infinità. E diventano addirittura sei ad Avila, quando all’ultimo chilometro si prende gioco degli avversari, scattando prima dell’arrivo. Vuelta chiusa, forse. Manca una sola tappa e Dumoulin sembra non avere punti deboli: vincerà a sorpresa la classifica, dovrà soltanto resistere fino a Cercedilla, ancora per un giorno.

Cercedilla, appunto. È qui che Fabio Aru e la sua Astana compiono un vero capolavoro, perché il ciclismo è sport individuale, ma senza compagni che si sacrificano per la tua causa, non ottieni alcunché. Non è sufficiente aspettare l’ultima asperità per provarci, bisogna attaccare prima. È il Puerto de la Morcuera il punto giusto. La sua Astana dà vita ad un forcing pazzesco, Dumoulin è in difficoltà, Aru ci crede, scollina, ritrova due suoi compagno mandati precedentemente in avanscoperta, incrementa il vantaggio.

È fatta. Tom Dumoulin è in crisi, Fabio Aru vince la 70^ Vuelta a Espana, quella che vedeva ai nastri di partenza il meglio del ciclismo, da Chris Froome a Nairo Quintana, passando per Vincenzo Nibali. I Grand Tour sono corse ad eliminazione e l’ultimo a resistere è proprio lui, Fabio Aru, che vince al cospetto dei grandi, lui che ormai grande lo è diventato.

E il suo primo pensiero è per la squadra: cita uno ad uno i suoi fidi scudieri, a cominciare da quel Paolo Tiralongo al quale soltanto 37 punti di sutura sul volto gli hanno impedito di assistere il suo “bambino” verso la cavalcata vincente, ma che corre ad abbracciarlo a Madrid. E poi per la sua terra, della quale porta con sé, sul podio, il vessillo.

“È stata un’emozione incredibile, sono davvero molto felice – sono le sue impressioni esternate alla stampa – Questo è il risultato di tanti sacrifici. Questa vittoria non mi spaventa, ma è uno stimolo ad impegnarmi ancora di più, per me e per i miei tifosi”.

L’impresa è compiuta: da Villacidro a Madrid, le tappe di una consacrazione. Ora Fabio è ufficialmente un big, uno dei top del ciclismo internazionale, uno che può puntare ai traguardi più ardui. Fabio è l’immagine dell’Italia umile, che lavora e che vince.

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