È la Vuelta a España di Fabio Aru, la 70^ edizione del terzo Grand Tour stagionale. Ma è una Vuelta caratterizzata anche da tanti altri personaggi che meritano di essere ricordati per stilare una sorta di bilancio finale.
Fabio Aru. Che sia l’assoluto protagonista è fuori discussione, essendo lui il vincitore finale. A 25 anni, finalmente conquista il suo Grand Tour, primo – si spera – di una serie. Per un focus sul sardo e la sua condotta, vi rimandiamo all’articolo a lui dedicato.
Tom Dumoulin. La perde l’ultimo giorno, la corsa, ma l’olandese della Giant-Alpecin deve essere fiero del suo percorso. Partito come “il passista che punta alla crono di Burgos”, si trova a lottare per la classifica finale davvero inaspettatamente, meraviglia tutti in salita sin dalle prime fasi – riuscendo a battere pure Chris Froome nella prima settimana – e si arrende soltanto alla coppia Aru-Astana verso Cercedilla. Sarà deluso, ora, ma avrà modo di riscattarsi, il venticinquenne, che d’ora in avanti dovrà cambiare i suoi programmi futuri per puntare molto in alto.
Joaquin Rodriguez. Ancora a podio, Purito, ma stavolta a lui va bene così. Partito dalla Costa del Sol senza alcuna pressione, dopo aver buttato al vento in più occasioni i Grand Tour – dal Giro d’Italia consegnato a Ryder Hesjedal alla stessa Vuelta regalata ad Alberto Contador in una tappa interlocutoria – si ritrova ai piani alti della classifica – addirittura in testa, prima dell’ultimo giorno di riposo – dando prova del suo spirito battagliero e mai rinunciatario. E porta a casa anche la maglia bianca.
Rafal Majka. Si parla troppo poco del corridore polacco, ma l’atleta della Tinkoff-Saxo, dopo aver sprecato tanto al Tour in appoggio ad Alberto Contador, fa classifica alla Vuelta e conclude sul podio. Ha 26 anni, uno in più di Aru, per cui aspettiamoci tanti risultato anche da questo ragazzo che vive e si allena in Italia.
Alejandro Valverde – Nairo Quintana. Hanno delle attenuanti, i due portacolori della Movistar. Il murciano ha disputato una grande stagione, è stato competitivo da febbraio a settembre e ci sta che accusi una pur vistosa flessione nella corsa di casa. Stavolta niente podio, ma a 36 anni, una tappa a Vejer de la Frontera, la maglia verde e tante lodi, soprattutto per aver corso meno da attendista rispetto al suo passato. Ha l’alibi degli sforzi sostenuti al Tour de France e della febbre che l’ha bloccato per una settimana, il colombiano, ma è stato stato un lontano parente di quello ammirato nelle altre apparizioni e non sarà questa Vuelta a rimanere impressa nella sua mente.
Astana. Un 10 per la condotta nell’ultima giornata che riequilibra tanti errorini commessi nelle precedenti frazioni, dal pasticcio dell’ammiraglia nell’ormai celebre affare Vincenzo Nibali (S.V.: errore grave, ma ci sta in un momento di confusione… e dopo due sole tappe non vale un voto negativo) fino alle inspiegabili ricucite dello stesso Aru nella tappa di Avila, quella in cui Dumoulin arraffa altri 3″ che sembrano essere decisivi. Ma a Cercedilla, la squadra kazaka sale in cattedra e dimostra di saper dirigere l’orchestra come nessuno mai: è anche merito loro, dei direttori sportivi e dei compagni, tutti encomiabili, se Aru può festeggiare la maglia rossa.
John Degenkolb. L’uomo più atteso in volata, ma non trova mai il guizzo vincente. Il re delle Classiche 2015 appare in flessione, ma mai darlo per morto. Ed infatti a Madrid coglie la sua decima vittoria alla Vuelta. Un bel viatico per l’appuntamento di Richmond tra quindici giorni …
Esteban Chaves. Assieme a Tom Dumoulin, la più bella sorpresa della corsa. Dà spettacolo nella prima settimana, il giovane colombiano dell’Orica-GreenEDGE, che ha saputo conquistare tutti col suo contagioso sorriso. Ma non cala nel finale, come molti si attendono, e chiude con un onorevole quinto posto. È un altro classe ’90, dovremo stare attenti anche a lui nei prossimi Giri.
Omar Fraile. Sornione, il corridore della Caja Rural – RGA va a prendersi una inattesa maglia a pois di leader della Classifica dei GPM. Non è il miglior scalatore in gara, ci mancherebbe altro, ma è il più lesto ad approfittarne su tutte le medio/facili salite poste nelle prime due settimane e alla fine arriva questo bel premio. Lode alla sua caparbietà e a quella del compagno di squadra José Goncalves, sempre in fuga e sempre in vista.
MTN Qhubeka. Ancora una volta si fanno valere, i Bafana bafana del ciclismo. Come al Tour de France, una bellissima vittoria di tappa – firmata da Kristian Sbaragli, l’unico azzurro nella rosa – e tante altre buone prestazioni. Non si vede molto, ma a 23 anni tiene duro e chiude con il decimo posto finale: Louis Meintjes è un altro dei ragazzini terribili del circuito e ne beneficerà la Lampre-Merida nella prossima stagione, di questo talento puro.
Lampre-Merida. Non una Vuelta, ma un’annata corsa da protagonisti nei Grand Tour. Non hanno in questo momento un corridore da classifica, ma si dannano l’anima per portare a casa i risultati. E così, dopo i quattro successi al Giro ed uno al Tour, eccone altri due in Spagna, entrambi di altissima fattura: Nelson Oliveira e Ruben Plaza Molina sono gli autori delle due più belle fughe di quest’edizione – assieme al francese Alexis Gougeard (Ag2R La Mondiale) ad Avila – e meritano un grande applauso.
Italiani. Partono in 20 e si fanno sentire. Fabio Aru è il trionfatore finale, Alessandro De Marchi e Kristian Sbaragli i due vincitori di tappa. E poi tanti che si mettono in luce, da Giovanni Visconti agli instancabili uomini Astana (Dario Cataldo, Diego Rosa, Alessandro Vanotti e pure il povero Paolo Tiralongo). Ben cinque chiudono in top 20: Aru, Domenico Pozzovivo, Gianluca Brambilla, Giovanni Visconti e Diego Rosa… e questi ultimi nonostante i grandi lavori di gregariato. E poi Moreno Moser, Salvatore Puccio e Matteo Montaguti, che vanno vicini ad un successo parziale, o il Panterone Daniele Bennati. Ci facciamo valere, insomma, proprio nel mese più importante. Sarà felice Davide Cassani.
Domenico Pozzovivo. L’unica delusione azzurra, quella dello scalatore lucano, partito con ben alte ambizioni – top 5 e vittoria di tappa – e finito appena fuori la top 10. Non riesce a vedersi nelle tappe decisive, non è il suo Giro. Ma dopo un lungo e travagliato periodo, possiamo giustificarlo.
Vuelta. Non basta l’Aso per porre rimedio alle tante lacune di un’organizzazione che fa acqua da tutte le parti: dalla mancata sicurezza della cronosquadre di apertura alla mancata sicurezza dei corridori per delle condotte dei veicoli in gara a dir poco scandalosa – ne sa qualcosa Oleg Tinkov, che vede due suoi atleti costretti ad abbandonare la corsa perché buttati giù da una moto in due circostanze diverse – fino alla mancata diretta televisiva nella passerella finale di Madrid, dove il segnale arriva soltanto nei 7 chilometri conclusivi. E poi un appunto sul percorso: nella settimana decisiva, nessun arrivo in salita dopo il giorno di riposo è un qualcosa che uccide lo spettacolo.
Se, dunque, come partecipanti sembra aver passato il Giro nelle ultime stagioni, ne ha ancora di strada da fare, la Vuelta, per competere co il nostro livello di efficienza.