Una maglia iridata che rende tutti felici, quella assegnata a Richmond 2015. Non saranno certo d’accordo gli sconfitti di turno – Michael Matthews su tutti – ma se lo merita Peter Sagan questo titolo, che sta a significare l’avvenuta consacrazione di un campione fuori dal comune. È il sogno di ogni corridore sin da bambino, quella divisa, e che quel sogno potesse trasformarsi in realtà, il campione slovacco ne è sempre stato perfettamente consapevole.
Brucia le tappe, il corridore nato a Zilina venticinque anni fa: passa professionista con l’italiana Liquigas ed è proprio la formazione diretta da Roberto Amadio a lanciarlo nel ciclismo che conta. Con risultati a dir poco stratosferici: sedici vittorie nel 2011 e nel 2012, ventidue nel 2013 e già tre maglie verdi conquistate alla Grande Boucle a soli 23 anni. Sanremo, Fiandre, Roubaix, Mondiale: sembrano muri tutt’altro che invalicabili questi storici nomi per l’atleta, che vince e convince con estrema facilità e irride gli avversari con esultanze fuori dagli schemi. Eppure si frappone sempre qualche ostacolo tra sé ed il compimento di un’impresa, qualcosa che gli impedisce di imprimere il suo marchio sulle strade dove è scritta la storia di questo sport.
Così, dopo un’annata alla statunitense Cannondale, nel 2015 avviene il passaggio alla Tinkoff-Saxo. Obiettivo: scrivere il suo nome nell’albo d’oro di una monumento. Ma neanche stavolta le cose vanno per il verso giusto e ancora una volta la campagna del Nord finisce a mani vuote. Arriva così il Tour de France, dove puntualmente arriva la quarta maglia verde consecutiva, ma di nuovo nessun successo parziale.
E che la stagione sia davvero stregata appare evidente alla Vuelta a Espana, dove è costretto al ritiro dopo poche giornate a causa di una manovra sconsiderata di una moto dell’organizzazione che lo catapulta a terra con vistose ferite. Non è annata, è ben evidente, e rimane solo un altro appuntamento per il riscatto: Richmond 2015.
Il tracciato del campionato del mondo statunitense è adattissimo alle caratteristiche dello slovacco perché si presta a molteplici soluzioni tattiche e a corridori imprevedibili come lui, in grado di giocarsela tanto allo sprint quanto di forza.
Ed è qui che avviene la tanto agognata vittoria. Dopo una stagione disgraziata, tutto va per il verso giusto: non può contare sulla squadra, Sagan, che ha con sé solamente due compagni. Ma è inutile avere nove uomini se nel finale ti sfaldi come neve al sole (ne sanno qualcosa gli azzurri). basta un uomo solo capace di farsi trovare pronto al momento giusto. E così Tourminator ai duemila metri esce allo scoperto, dopo aver acutamente sfruttato il lavoro altrui, opera un solo scatto e va a conquistare la medaglia d’oro e la maglia iridata. Una lezione di tattica e di forza, una lezione di chi sa come si corre.
“È la mia vittoria più importante“, sentenzia giustamente il vincitore, che ripercorre poi gli attimi decisivi: “Molti erano stanchi dopo 250 chilometri e anche io forse lo ero per una volata finale, così ho tentato il tutto per tutto e ho anticipato l’attacco”. Infine un insegnamento: “La mia motivazione? Vedere ciò che sta succedendo in Europa. Il mondo deve cambiare, lo voglio dire apertamente perché ritengo che lo sport possa fare tanto”.
A volte spavaldo, forse un tantino irriverente, ma nel gruppo è rispettato per la sua bontà d’animo e per le sue doti tecniche affatto comuni. E non è un caso se, sul traguardo di Richmond, i primi a complimentarsi sono Tom Boonen e Matteo Trentin, felici perché la maglia più ambita del ciclismo sarà per un anno vestita da un vero campione.
E, stavolta, siamo tutti felici che Peter Sagan sia il nuovo campione del mondo di ciclismo su strada.