È il Mondiale di Peter Sagan, non è il Mondiale dell’Italia. Sembrava difficile poter far peggio di Ponferrada 2014, quando il migliore dei nostri fu Sonny Colbrelli, tredicesimo, invece è debacle azzurra a Richmond 2015: la nazionale guidata da Davide Cassani termina la prova iridata statunitense in modo anonimo, con Giacomo Nizzolo primo a tagliare il traguardo in diciottesima posizione. Gli azzurri tengono bene la strada per tre quarti di gara, rimanendo coperti e lasciando fare ad altri il lavoro, ma poi si sciolgono come neve al sole.
Il primo dei nostri a farsi vedere è Elia Viviani, che entra in una fuga composta da corridori ben assortiti a due giri dal termine. Ma non è l’azione buona e difatti bisogna attendere gli ultimi cinquemila metri per assistere alle operazioni decisive. Qui l’Italia è in testa con cinque uomini che però, una volta intrapreso il primo strappo, scompaiono dall’avanguardia del gruppo.
Ed è qui che finisce il Mondiale dei nostri, incapaci di essere lì nelle posizioni che contano. Peter Sagan è imprendibile e va giustamente a cogliere il successo, ma un solo azzurro in top 20 – peggior risultato dal 1950 ad oggi! – deve far riflettere.
Ci eravamo fatti probabilmente troppe aspettative attorno a questo gruppo che tanto bene aveva fatto nelle ultime uscite. Ma diciamocela tutta: Bernocchi o Prato non valgono la prova iridata ed il livello dei partecipanti è infinitamente minore. Essere al via di un Mondiale senza un capitano designato significa non avere un uomo in grado di dire la sua. E si sono così palesate tutte le difficoltà quando la corsa si è infiammata.
“Abbiamo fatto quanto era nelle nostre possibilità“, sono le parole del commissario tecnico Davide Cassani, che ammette come, una volta scatenatasi la bagarre, “ci è mancata la forza di essere presenti“, pur evidenziando nuovamente che “questo percorso non favoriva le nostre qualità”.
Rendendo “onore” al vincitore perché “ha cercato questo mondiale fortemente” e l’ha preparato meticolosamente, Vincenzo Nibali analizza la prova della squadra italiana: “Negli ultimi chilometri eravamo presenti e abbiamo cercato di chiudere sugli scatti pericolosi, poi sono venuti fuori gli uomini adatti a questo percorso“.
“Non possiamo rimproverarci nulla“, è invece il commento di Matteo Trentin, che sottolinea come il percorso si sia rivelato “veramente duro”: “Ogni volta che qualcuno provava ad andare via il gruppo chiudeva ed è stato praticamente impossibile controllare la corsa nei chilometri finali”.