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Autostrada Hannover-Udinese: quando gli ultras pretendono l’inchino
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Autostrada Hannover-Udinese: quando gli ultras pretendono l’inchino

È un’autostrada virtuale, sia chiaro, quella che lega la città friulana a quella anseatica, ma gli ultimi episodi di Hannover e Udinese riaprono la domanda: il calcio è davvero in mano agli ultras?

I due eventi in breve: ieri a Hannover, dopo l’undicesima sconfitta su 12 partite, i tifosi invitano caldamente i loro giocatori a togliersi le maglie per presunta indegnità; e i calciatori obbediscono.

Oggi: l’Udinese finisce sconfitta 1-2 dalla Roma, al fischio finale i supporters pretendono che i calciatori passino sotto la curva per alcuni chiarimenti: insulti, gesti non proprio gentili e convenzionali, e bianconeri a capo chino che subiscono l’umiliazione.

Il dilemma si ripete: a che calcio stiamo giocando? Se persino nella tranquilla provincia udinese, diventata da una ventina d’anni capitale di un calcio sano e pulito, arriva la violenza becera, qualche inquietudine è bene cominciarla a sentire.

D’accordo, è arrivata l’ennesima sconfitta, ma l’Udinese c’ha comunque provato, contro la squadra attualmente più in forma del campionato. Non è bastato per placare la violenza ultrà, esplosa in modo surreale coi giocatori basiti. Tutti tranne Danilo, trattenuto a fatica da capitan Di Natale perché non ci stava a subire l’umiliazione in silenzio.

Si spera che tutto rientri presto, per far sì che l’esempio di pochi facinorosi non turbi l’onestà e la pulizia da sempre mostrata dalla società Udinese Calcio.

Gli episodi negativi però nel calcio malato di questi mesi continuano a susseguirsi. È come se l’inasprimento delle pene agli ultras – i famigerati Daspo su tutti – avesse solamente spostato il problema dagli scontri fra tifoserie o fra esse e forze di polizia in un altro teorema: il confronto duro, faccia a faccia, con i propri giocatori, per pretendere il sacrificio estremo in nome della propria maglia.

Ad anticipare tutto fu il celebre caso di Genoa-Siena di quattro anni fa, coi giocatori rossoblù che si tolsero le casacche per obbedire all’ordine dei capi-ultrà.

Poi sono arrivate le intimidazioni di Cagliari (Serie A dell’anno scorso, aprile e l’irruzione semi-armata nel ritiro di Assemini e i presunti schiaffi ai giocatori) e di Foggia (con i calciatori tenuti in ostaggio sul pullman di ritorno dopo una cocente sconfitta e insultati con improperi e sputi).

Qualcuno ha trovato modi senz’altro più “coloriti” per manifestare la propria rabbia nei confronti dei propri beniamini, rei di mancato impegno e attaccamento alla maglia: i 50 kg di carote fuori da Trigoria del 1 dicembre lasciate dagli ultras della Roma o le mimose regalate dai tifosi del Bari per la Festa della Donna ai propri giocatori questa settimana con intento chiaramente provocatorio sono le ultime della lista.

Qualcun altro ha deciso di contestare a prescindere, al di là del risultato futuribile: l’assemblea dei tifosi della Sampdoria ha deciso che ora appoggerà la squadra fino al raggiungimento della salvezza, poi partirà la contestazione vera contro la società. Perché più di qualcosa non va secondo i tifosi, e arriverà il momento di «tirare le somme».

E c’è chi si ritrova la macchina bruciata fuori dallo stadio: è capitato al bomber della Casertana, Gianluca De Angelis, dopo la bruttissima sconfitta per 0-6 subita dai rossoblù campani nel derby col Benevento di Lega Pro.

Non si sa ancora se sia stato un cortocircuito o un evento doloso, ma certo i dubbi restano. Così come quel gran dilemma: a che calcio stiamo giocando?

About Alessandro Liburdi

2 commenti

  1. Quindi i tifosi non hanno nemmeno il diritto di lamentarsi?IL CALCIO E’ DEI TIFOSI,GIORNALISTI PEZZI DI MERDA.

  2. Alessandro Liburdi

    La redazione tutta biasima e condanna qualsiasi insulto rivolto nei confronti dei giornalisti che ne fanno parte. Il rispetto della professione, e delle persone che ogni giorno si impegnano per portare avanti il loro lavoro in modo onesto, non hanno nulla a che vedere con gli atteggiamenti ostili e violenti di chi vorrebbe lo sport completamente asservito ai cori, agli slogan, alle violenze, alle sottomissioni ecc.
    Quando si scrive, si parla di fatti; a volte, come in questo caso, si scrivono editoriali per manifestare un punto di vista, o per esprimere il disagio di chi ama il calcio e non vorrebbe vedere episodi del genere. Il calcio è una passione grandissima e bellissima, un’emozione dopo l’altra che non ti lascia mai, perché tanti di noi sono cresciuti davvero a pane e pallone, e hanno saputo apprezzare il calcio per i valori che porta: la tecnica, l’attaccamento alla maglia, il sacrificio, il sudore e tutto il resto.
    Alla base di tutto, però, deve esserci il rispetto, reciproco, tra tutti coloro che credono al calcio con onestà e correttezza, rispettando l’altro chiunque esso sia e qualunque cosa dica, anche se dice o pensa cose differenti dalle proprie.
    Passare subito alle offese e agli insulti, fomentati da chissà quale odio a prescindere, fa male al calcio e, di rimbalzo, fa male alla società. Una società che già di per sé è vittima dell’odio e del rancore.
    La preghiamo dunque, la prossima volta, di criticare in maniera garbata, di dire “scusate, no, non sono d’accordo”, di spiegare le proprie ragioni. LE OFFESE E LE INGIURIE NON CI APPARTENGONO E LE TENIAMO FUORI DALLA PORTA, GRAZIE!

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