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Rio 2016, l’Italciclismo c’è: bene la strada, segnali dalla pista. Sfortuna mtb
Elia Viviani. Foto: Getty

Rio 2016, l’Italciclismo c’è: bene la strada, segnali dalla pista. Sfortuna mtb

Vanno in archivio con il bilancio di 1 oro e 1 argento i Giochi Olimpici di Rio 2016 per l’Italia del ciclismo: bene i ragazzi della strada, esaltatisi su un percorso adatto alle loro caratteristiche; segnali incoraggianti dalla pista, dopo anni bui; tanta sfortuna in mountain bike, dove pure non si è affatto sfigurato.

Strada. Il solo bronzo ottenuto da Elisa Longo Borghini – scaltra nella prova in linea, audace in quella a cronometro conclusa in quinta posizione – non rende giustizia delle prove di cui si sono rese protagoniste le nazionali di Davide Cassani e Dino Salvoldi. In particolare per quanto concerne gli uomini, ricordiamo bene quanto la caduta di Vincenzo Nibali a 11 km al traguardo abbia spento i sogni di una medaglia che sembrava ormai ad un passo.

Hanno corso da grande squadra, Aru & Co., sempre attivi e sempre vigili nelle fasi decisive di gara, domati solo dalla sorte avversa in quella pericolosa discesa di Vista Chinesa. Si torna a casa a mani vuote, dunque, ma con la consapevolezza di poter essere competitivi su percorso duri, che esaltano le nostre qualità, a dispetto di quanto ancora accade per le altre tipologie di tracciati, da quelli pianeggianti a quelli da Classiche del Nord, dove bisogna ancora lavorarci su.

Pista. Un solo atleta qualificato a Londra 2012, nove a Rio 2016. È netto il salto di qualità compiuto dalle nazionali del ciclismo su pista, che pian piano stanno riportando il Paese nella posizione che gli spetta e che puntualmente occupava fino a due decenni fa. Merito dei commissari tecnici Marco Villa e Dino Salvoldi, che hanno saputo coltivare e far crescere giovani talenti nonostante le poche risorse economiche a disposizione, se comparate con colossi come la Gran Bretagna, assoluta dominatrice in questa disciplina (sei ori su 10).

L’oro di Elia Viviani è solo la ciliegina sulla torta di una prestazione corale che deve includere le due squadre dell’inseguimento, entrambe arrivate al nuovo record italiano. Cenno particolare per i ragazzi, ripescati all’ultimo momento e fattisi onore con il quinto posto finale che li proietta con grandi speranze verso il prossimo quadriennio olimpico, specie considerando la giovanissima età (Filippo Ganna, già iridato nell’inseguimento individuale, effettuerà solo nel 2017 il passaggio tra i professionisti). Bisognerà lavorare sulla velocità, certo, ma il solco tracciato è quello giusto.

MTB. L’Italia della mountain bike c’è, e più delle attese. Nella prova femminile Eva Lechner non ha brillato, vero, ma in quella maschile il settimo posto di un ragazzo di prospettive come Luca Braidot (classe ’91), al cospetto dei grandi della disciplina, è il segnale che anche con le ruote grasse possiamo giocarcela. E potevamo giocarci qualcosa di più con il nostro leader Marco Aurelio Fontana, se una foratura nel corso del primo giro non l’avesse messo fuori gioco assieme al campione del mondo su strada Peter Sagan. Sfortunato a Londra 2012, quando raccolse un bronzo che poteva essere oro (ricordiamo tutti la perdita del sellino negli ultimi chilometri), sfortunato a Rio 2016, probabilmente l’ultima grande chance olimpica della sua carriera.

È la sola BMX a far registrare uno zero, non avendo l’Italia portato atleti ai Giochi.

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