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Cipollini, 50 anni da Re Leone e un appello all’Italia: “Il ciclismo è un patrimonio, salviamolo”

Cipollini, 50 anni da Re Leone e un appello all’Italia: “Il ciclismo è un patrimonio, salviamolo”

Mario Cipollini compie 50 anni: il Re Leone è stato uno dei più forti velocisti di tutti i tempi e ha saputo conquistarsi a suon di trionfi una tale influenza mediatica che perdura anche ora che vive lontano dal mondo del ciclismo. Vent’anni di professionismo e 191 vittorie in carriera: numeri incredibili per il grande sprinter toscano nato a Lucca nel 1967. Nel suo palmares figurano 42 successi di tappa al Giro d’Italia (con tre classifiche a punti), 12 affermazioni al Tour de France, una Milano-Sanremo, tre Gand-Wevelgem e soprattutto un Campionato Mondiale.

È il 2002 il suo anno magico: nel mese di marzo conquista la Classicissima di Primavera e la prima delle prove della Campagna del Nord; nel mese di maggio fa sue ben sei frazioni al Giro e, dulcis in fundo, nel mese di settembre arriva la maglia iridata a Zolder, in cui quel perfetto treno assemblato dal commissario tecnico Franco Ballerini gli permette di coronare il sogno di salire sul gradino più alto al mondo.

Oggi Cipollini è lontano dal mondo delle due ruote, ma non si esime dall’effettuare acute analisi sullo sport che continua ad amare. Qual è la situazione del ciclismo azzurro al giorno d’oggi? “Il ciclismo in Italia è inesistente“, afferma amaramente a Radio 24, facendo notare come fortunatamente nel nostro Paese corridori talentuosi continuino a nascere, ma sono poi costretti a farsi le ossa – spesso con compiti di gregariato – nelle squadre all’estero.  “Non ci possiamo permettere di rovinare questo sport in memoria di grandi personaggi che definire ciclisti è poco“, prosegue l’ex corridore nella sua disamina, facendo l’esempio di Fausto Coppi che rappresenta ad oggi “lo sportivo più importante che questa terra abbia avuto”.

In pochi anni il valore del nostro movimento è precipitato. Basti considerare che ai suoi tempi c’era tutta una schiera di nostri connazionali – da Pantani a Bettini, da Bartoli a Tafi, o ancor prima i vari Moser, Saronni, Argentin – che “impauriva il mondo del ciclismo”. Oggi, invece, c’è il solo Vincenzo Nibali che riesce ad ambire a grandi traguardi, ma per il resto “non ci considerano neanche dei vigili urbani“.

Qual è il motivo di tutto ciò? “Che il ciclismo stia andando male non frega niente a nessuno, l’importante è che funzioni il calcio“, è la sua amara e condivisibile constatazione.

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