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Parigi-Roubaix 2017, l’analisi: Van Avermaet stellare e grand’Italia

“In cuor mio pensavo che la Roubaix fosse la più difficile da conquistare, e invece la mia prima vittoria della carriera in una Monumento è arrivata proprio qui”. Con queste parole Greg Van Avermaet (BMC Racing Team) commenta il trionfo nella Regina delle Classiche, giunto dopo un’aspra battaglia cominciata da molto lontano, da quando quella caduta alle porte della Foresta di Arenberg sembrava dover compromettere tutto.

Invece il campione olimpico ha saputo rialzarsi, mantenere il sangue freddo, attaccare ripetutamente e, complice un monumentale Daniel Oss, che l’ha condotto davanti a tutti nella fase decisiva di gara, ha avuto la meglio in volata su Zdenek Stybar (Quick Step Floors) e Sebastian Langeveld (Cannondale-Drapac). Dalla vittoria alla Tirreno 2016, Greg assai raramente ha sbagliato: da lì è letteralmente cominciata la sua seconda vita agonistica.

Sul podio, come già detto, il ceco e l’olandese. Il primo è l’unico superstite della corazzata Quick Step che si sfalda man mano: Matteo Trentin lavora nella prima parte di gara, Niki Terpstra cade e si ritira, Tom Boonen ci mette l’anima e nel suo caso non è banale dire “è il vincitore morale”; il secondo sembrava essere un enfant prodige del pavé fino a qualche stagione fa, prima di smarrire incomprensibilmente le sue qualità e ritrovarle a trentadue anni con una prova tatticamente impeccabile come quella odierna. E quatta quatta la sua Cannondale si prende il secondo podio consecutivo in una Monumento dopo il terzo posto di Dylan Van Baarle al Fiandre.

C’è poi Peter Sagan. Non gliene va bene una neanche stavolta allo slovacco della Bora-Hansgrohe. Alla Sanremo perde una corsa già vinta, al Fiandre fa tutto da solo e finisce a terra, alla Roubaix viene fermato da due problemi meccanici. Un peccato: ha dimostrato di potersela giocare, ma deve di nuovo rinviare l’appuntamento con la storia. Benino, ma non all’altezza del suo nome John Degenkolb (Trek-Segafredo), alla fine a soli dodici secondi dai primi, ma non dà mai l’impressione di poter essere davvero incisivo. Bene, alla faccia di chi lo consideri un semplice velocista, Arnaud Démare: l’atleta della FDJ ha già in bacheca una Sanremo e stavolta ha dimostrato di poter ambire anche alla corsa di casa chiudendo quinto, primo nella volata dei battuti.

E poi gli italiani. Ora possiamo dirlo: la grande prestazione al Fiandre non è stata un caso e dalla Parigi-Roubaix 2017 è arrivata una splendida conferma. Daniel Oss semplicemente il migliore, Gianni Moscon semplicemente pazzesco: il primo è costretto a lavorare per il vincitore e mettere nuovamente da parte ogni velleità personale, ma sul traguardo dichiara “È come se avessi vinto io”; il secondo corre da leader e, alla sua seconda partecipazione all’Inferno del Nord, coglie un quinto posto che sa di presagio verso un futuro radioso. Sarà lui il futuro capitano del Team Sky e del ciclismo italiano per le Classiche del Nord.

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