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Giro d’Italia 2018: l’analisi del Giro degli italiani

Giro d’Italia 2018: l’analisi del Giro degli italiani

Qualcuno osa dire che il Giro d’Italia 2018 sia stato il peggior Giro della storia per quanto concerne gli atleti di casa. Certamente le aspirazioni alla vigilia erano ben altre, ma non è poi tutto da buttare.

Per la sesta volta in 101 edizioni disputate, nessun atleta azzurro è riuscito a salire sul podio: era accaduto nel 2012, 1995, 1988, 1987 e 1972 ed accade adesso. Due soli gli atleti in top 10, vale a dire il veterano Domenico Pozzovivo (Bahrain – Merida), che alla vigilia del tappone di Bardonecchia cullava anche il sogno proibito, e Davide Formolo (Bora – Hansgrohe), che raccoglie un decimo posto con tante recriminazioni (cadute in particolar modo), ma che in fondo non vale quel salto di qualità che ci si attendeva.

Di italiani in grado di puntare alle grandi corse a tappe non se ne vedono, è chiaro. Dietro Vincenzo Nibali, che non è più giovanissimo e non può garantire tante altre stagioni ad alto livello, di elementi su cui puntare non ce ne sono molti. C’è Fabio Aru (UAE Team Emirates), che deve dimenticare al più presto un Giro troppo brutto per essere vero: resta da capire le cause di tale debacle, ma il sardo, pur non potendo onestamente impensierire Froome & Co., ha tutte le capacità di aspirare a grandi risultati nei prossimi anni, essendo egli appena entrato nel pieno della maturità (28 anni).

Poi? Poi onestamente quasi il vuoto. Nell’attesa di capire quale sia il reale valore di Davide Formolo e le reali ambizioni di Gianni Moscon (potrebbe puntare a grandi classiche o a grandi giri, il trentino, a costo di smettere di indossare i panni da gregario che gli stanno troppo stretti), bisogna monitorare la crescita dei neoprofessionisti Matteo Fabbro, Nicola Conci ed Edward Ravasi, non presenti al Giro: dotati di buone capacità in salita, appaiono comunque già indietro rispetto ad altri coetanei stranieri (fenomeno Bernal a parte, diversi altri sono più avanti).

Eppure si diceva che non è tutto da buttare. Lo scorso anno siamo stati capaci di vincere appena una tappa su ventuno (Nibali sullo Stelvio), stavolta ne sono arrivate ben cinque: il ritrovato Enrico Battaglin (LottoNL – Jumbo), atleta che può ancora dire la sua nelle prove di un giorno vallonate, e l’asso delle volate Elia Viviani (Quick Step Floors). Si dirà: “Elia ha vinto senza Sagan, Kittel, Gaviria, Bouhanni, Démare, Cavendish e via dicendo”. Io rispondo: “Elia è attualmente da top 5 negli sprint e ha già battuto i suddetti corridori più volte ad inizio stagione. E dieci vittorie a metà anno non possono essere un caso”.

Applausi anche ad alcuni giovani messisi in mostra nelle Professional nostrane. La Androni – Sidermec ha condotto un Giro da applausi e, pur mancando il successo (ci è andata vicina con Mattia Cattaneo terzo a Prato Nevoso), si è messa quotidianamente in mostra con i suoi ragazzi arrembanti, portando a casa la classifica dei traguardi volanti con Davide Ballerini e quella dei chilometri in fuga con Marco Frapporti. La Bardiani – Csf, perso subito Andrea Guardini, ha risposto con un buon Giulio Ciccone che, pur senza aver centrato l’obiettivo della maglia azzurra dei GPM, ha dato l’anima per tre settimane. Meno bene la Wilier – Selle Italia, che ha puntato tutto su Jakub Mareczko ed è tornata ancora una volta a casa a mani vuote.

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