L’Unione Ciclistica Internazionale ha varato il Nuovo Codice Antidoping, già in vigore dal 1 gennaio di quest’anno. Tutto si muove nella direzione di una maggiore severità, al fine di dare al ciclismo un’immagine il più trasparente possibile.
Va subito detto che la conservazione dei campioni all’interno dei laboratori passa dagli attuali otto a dieci anni, permettendo così nuovi ed approfonditi esami nel corso del decennio sulla base di tecnologie migliori.
E cosa rischia chi sarà trovato positivo? Le pene sono certamente più severe. Non più due, bensì quattro anni di squalifica già alla prima infrazione commessa, compresa la rinuncia a a fornire un campione da analizzare o la non reperibilità garantita agli ispettori dell’Uci. La sospensione sarà obbligatoria – benché provvisoria – anche in tutti i casi in cui sia riscontrata un’anomalia nel passaporto biologico.
Al tempo stesso ci sarà una maggiore flessibilità in due casi: qualora un corridore abbia assunto una sostanza illecita all’interno di un prodotto alimentare contaminato (ma si dovrà pur sempre dimostrare la buona fede dell’atleta); qualora la sostanza vietata sia stata assunta lontano dalle competizioni per motivi non legati all’attività agonistica (per esempio l’uso di droghe leggere).
Un corridore squalificato potrà certamente tornare alle corse, ma dovrà comunicare la sua decisione all’Uci sei mesi prima del termine della sanzione, rendendosi reperibile in qualsiasi momento per controlli ed accertamenti.
Tempi più duri anche per le squadre: qualora all’interno di un team si verificassero due infrazioni, la squadra sarà sospesa fino ad un massimo di 45 giorni, per arrivare a 12 mesi se le infrazioni dovessero esserne tre. Per le squadre WorldTour prevista anche una multa pari al 5% del budget annuale della squadra stessa.
Istituito, infine, il Tribunale Antidoping, composto da giudici indipendenti dall’Uci, il cui scopo è quello di ridurre i ricorsi al Tas e risolvere in tempi rapidi la maggior parte dei casi di doping che si presentano.