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I gol fantasma, a che punto siamo (arrivati)?

La strada che da Londra porta a Udine è molto più breve di quel che si pensi. E, nonostante gli anni, non accenna a diminuire. No, non è merito del villaggio globale, o della grande velocità della comunicazione, bensì di un ri-corso storico che ieri, dopo quasi mezzo secolo, è andato in scena allo stadio Friuli di Udine: il gol fantasma.

Il gol/non gol più famoso della storia, quello della finale mondiale ’66 tra Inghilterra e Germania, è storia vecchia: al 101’, quando il risultato era inchiodato sul 2-2, Geoff Hurst tirò, palla sulla traversa e poi sulla linea. Dopo un consulto col guardalinee russo Bakhramov, l’arbitro Dienst assegnò il gol ai Leoni inglesi. Hurst segnò poi anche il 4-2, realizzando la sua tripletta personale (unico a riuscirci in una finale mondiale) e regalando ai suoi la prima e unica vittoria mondiale. A fine gara, le telecamere non lasciarono spazio a dubbi: la pelle non era entrata.

Da allora, in cinquant’anni di storia del pallone, di passi avanti per fortuna ce ne sono stati parecchi, soprattutto grazie all’utilizzo di una tecnologia finalmente incontrovertibile: la Goal Line è stata già usata allo scorso mondiale, in Inghilterra i palloni hanno un chip per stabilire con ottima approssimazione se la palla ha varcato completamente la linea o no, la Federazione tedesca e la FIGC italiana hanno annunciato l’uso della tecnologia a partire dal prossimo campionato.

Ma intanto, che si fa? Come risolvere questioni spinose, tipo quella innescata ieri dal gol di Astori a Udine e per fortuna spenta dopo una rapida occhiata alla telecamera, che ha confermato la giustezza della decisione arbitrale?

Ieri a Udine insomma si è riproposto il terribile dilemma: è entrata o no? Per l’addizionale Mascara il pallone non era entrato, l’arbitro Guida ha invece deciso di assegnare il gol alla Roma. Una decisione che, col senno del poi, si è rivelata giusta ed efficiente.

Ma, appunto, col senno del poi. Perché c’è voluto come al solito l’assistenza post-gara, anzi immediatamente post-fatto, per capire cos’era definitivamente successo; d’altro canto, l’ausilio delle telecamere per gli arbitri non è ancora consentito, e questo appare francamente una cosa risibile e grottesca, considerando il progresso tecnologico che si è raggiunto oggi, anno Domini 2015.

L’eco del gol di Muntari non si è ancora del tutto spento, e la confusione regna dappertutto sovrana. E il gol di Astori deve far riflettere, tanto sull’uso dei nuovi strumenti quanto sull’utilità effettiva dell’arbitro di porta.

Qualche mese fa Collina disse che la GLT (Goal Line Technology) e l’addizionale d’area possono e devono coesistere: «Gli arbitri di porta, invece, sono utili in almeno 15-16 episodi a partita, fra calci d’angolo e punizioni».

Eppure il quinto e il sesto arbitro non hanno fatto altro che aumentare la confusione: di decisioni sbagliate o non prese ce ne sono state anche con la loro introduzione – l’esempio più recente è il fallo di mano di De Jong in Roma-Milan del 20 dicembre, ma già la Supercoppa del 2012, battesimo degli arbitri d’area, innescò un’infinità di polemiche che prosegue ancora oggi.

La questione però è anche economica. Due fischietti in più a partita hanno notevoli costi sul bilancio della Federcalcio: 1080 euro a match per arbitro, totale di 820.000 a campionato. Per nulla pochi, specie pensando che il CONI sta facendo una grande cura dimagrante. E allora in Federazione si è pensato di risolvere il problema con la forbice: tagliare gli addizionali e porte finalmente aperte alla tecnologia.

Alla FIGC, anzi al suo portafoglio conviene in questo modo: i costi per l’installazione e la manutenzione degli impianti peseranno completamente sulle singole società. Il prezzo da pagare, che i venti club di A dovranno dividersi, è relativamente ridotto: 175.000 per sensori e telecamere più 2.500 a partita.

Insomma, con poco più di 220.000 euro all’anno e 7 telecamere per porta, il problema dovrebbe essere risolto. O almeno, si spera.

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