La Coppa d’Asia quest’anno avrà una protagonista in più: la Nazionale di calcio della Palestina. I giocatori di Gaza City e Cisgiordania voleranno in Australia, dove per la prima volta si disputerà la manifestazione continentale, giunta quest’anno alla sedicesima edizione, che si disputerà tra le città di Sydney, Melbourne, Canberra, Brisbane e Newcastle.
I palestinesi si sono qualificati lo scorso maggio vincendo la AFC Challenge Cup: coppa minore dedicata ai paesi emergenti, dove giocano quasi tutti under 23 ma che regala ai vincitori un posto alla fase finale della Coppa d’Asia. Il gol decisivo contro le Filippine lo ha segnato Ashraf Nu’man, nato 28 anni fa a Bayt Lahm e divenuto un autentico profeta in patria.
Attualmente 113esima nel ranking FIFA, la storia della nazionale della Palestina è tormentata, quasi quanto il suo popolo. Fondata nel 1962 ma riconosciuta solo nel 1998, la prima partita che ha potuto giocare sul suolo natio è stata l’amichevole con la Giordania ben 10 anni dopo. Mentre la prima ufficiale, un match di qualificazione a Londra 2012 contro la Thailandia, è stata disputata solo nel 2011.
Le difficoltà sono letteralmente quotidiane: negli ultimi tempi la squadra gioca per lo più in Egitto o in Qatar, e il ct Saeb Jendeya non può convocare i calciatori residenti in Palestina perché Israele impedisce loro sia di viaggiare nei territori occupati sia di espatriare per giocare a calcio.
Ecco quindi che il commissario tecnico è costretto a convocare un ristretto bacino di giocatori, tra cui quelli figli della diaspora palestinese emigrati o nati in giro per il mondo, dalla Svezia (Imad Zatara), al Cile (Alexis Norambuena), alla Slovenia (Jaka Ihbeisheh).
Nel 2006, la Palestina ha sfiorato l’impresa: dopo una vittoria con Taiwan e un pari con l’Iraq, la Nazionale di Gaza era addirittura in testa al girone per le qualificazioni ai Mondiali in Germania, ma Israele negò il permesso di viaggio a metà della squadra per la trasferta decisiva in Uzbekistan, persa 3-0.
L’anno dopo, a causa di un nuovo divieto d’espatrio la squadra non poté disputare le trasferte di qualificazione alla Coppa d’Asia 2007; idem per una partita a Singapore durante le qualificazioni ai Mondiali del 2010.
Quella palestinese è una nazionale che ha conosciuto anche vicende di sangue. Nel 2006 il calciatore Tariq al Quto fu ucciso dall’esercito israeliano e tre anni dopo durante l’operazione Piombo Fuso furono assassinati ben tre nazionali: Wajeh Moshtahe, Ayman Alkurd e Shadi Sbakhe. Insomma, la mano della violenza represse col pugno duro la rinascita che il popolo palestinese stava avendo nel nome del pallone.
Tutti questi soprusi culminarono poi con la storia coraggiosa di Mahmoud Sarsak, il 25 enne calciatore che cominciò un lunghissimo sciopero della fame dopo che Israele per l’ennesima volta gli aveva rifiutato un regolare processo in seguito all’arresto illegale di tre anni prima. Sarsak fu in fin di vita e raccontò poi la propria storia a ilfattoquotidiano.it.
Ma il movimento calcistico palestinese è andata avanti comunque, nonostante la repressione attuata tramite visti negati, arresti arbitrari e stadi bombardati; l’ultimo episodio è del marzo scorso, quando tre giovani under 21 sono stati gambizzati a colpi di mitra dai soldati israeliani nei pressi di un check point ad Al-Ram, in Cisgiordania.
Ora, il sogno di una storia diversa si sta per avverare. Venerdì 12 a Newcastle ci sarà l’esordio della Nazionale contro i detentori del Giappone. Con il coraggio nel cuore e con la speranza, mai domata, che grazie al calcio la Palestina può essere davvero libera.