Era la grande speranza italiana ai Campionati Mondiali di ciclismo su pista in corso nel velodromo di Saint Quentin en Yvelines e lui, Elia Viviani, il pistard di riferimento del nostro movimento da qualche anno a questa parte, ha sfiorato la magica impresa di conquistare l’oro iridato nell’omnium. Alla fine porta a casa una comunque positiva medaglia di bronzo, la seconda in carriera dopo l’argento conquistato ad Apeldoorn nel 2001 nello scratch.
Articolato su sei prove, l’omnium ha preso il via ieri con i primi tre round. Prima prova: lo scratch. Elia parte subito fortissimo e se la aggiudica davanti al colombiano Fernando Gaviria, balzando subito in vetta. Seconda prova: inseguimento individuale. Non è certo la specialità più congeniale al veronese, che riesce comunque a difendersi, piazzandosi al decimo posto (vittoria dell’australiano Glenn O’Shea). Terza prova: gara ad eliminazione. E’ ancora l’azzurro a trionfare, battendo al fotofinish il beniamino di casa Thomas Boudat e spedendo al terzo posto Gaviria, in testa dopo tre manches, ma di soli otto punti.
La giornata odierna parte non nella maniera maggiormente auspicata perché nel chilometro da fermo, forse il tallone d’Achille del corridore di Isola della Scala, il suo è solo il decimo tempo, con Gaviria che allunga in testa a +20 e gli altri (l’australiano O’Shea, il francese Boudat ed il belga De Buyst) che lo tallonano subito dietro.
Ma il riscatto avviene immediato. E’ il giro lanciato, in cui il nostro rappresentante coglie ancora una grande vittoria, recuperando preziosissimi punti su Gaviria, ora al comando con sole sei lunghezze di vantaggio: 170 a 164, dunque, alla vigilia dell’ultima prova, la corsa a punti. E’ qui, però, che qualcosa non va: Elia arretra in terza posizione e dice addio ai sogni iridati.
Fernando Gaviria, con 205 punti, è il nuovo campione iridato davanti all’australiano Glenn O’Shea (190 punti) e ad Elia Viviani(181). Troppo “forte”, per stessa ammissione di Viviani, l’atleta sudamericano. Ad ogni modo è un risultato che pesa, che riscatta l’amarezza di Londra 2012 e permette di lavorare con più serenità all’obiettivo Rio 2016.