La Regina Parigi-Roubaix ha scelto il suo Re! Dall’alto dei suoi 113 anni portati divinamente, l’affascinante signora del Nord ha trovato in John Degenkolb un ragazzo certamente all’altezza della sua fama e del suo prestigio. Si, perché il ventiseienne tedesco ha saputo rapidamente scalare le gerarchie sociali, è arrivato a scalzare tutti i pretendenti al trono e ha portato a casa l’ambitissima pietra del pavé. Se si aggiunge che il corridore teutonico ha già conquistato con la sua divisa Giant-Alpecin, poco più di venti giorni fa, fa un’altra bellezza monumentale, la Milano-Sanremo, non resta che inchinarci alle sue immense doti.
Che la Parigi-Roubaix fosse la sua gara prediletta si era perfettamente intuito già dodici mesi orsono, con quel secondo posto alle spalle di Niki Terpstra che presagiva come lo scettro di vincitore sarebbe arrivato di lì a breve. E nell’attesa di un ritorno su quelle strade dissestate, tanto odiose per chiunque quanto amate da lui, uno splendido successo alla Classica di Primavera.
Si giunge così al giorno tanto atteso, contraddistinto dalla mancanza dei due fari degli ultimi anni, Fabian Cancellara e Tom Boonen, e dal conseguente allargamento della lista dei papabili alla vittoria. Manca un uomo in grado di far saltare il banco nei punti chiave della corsa e si sente. Foresta di Arengerg, Mons en Pavele o Carrefour de l’Arbre scorrono senza che qualcuno dia una stoccata in grado di lasciare il segno: non ce ne voglia il generosisismo Greg Van Avermaet, sempre pronto ad attaccare, ma raramente in grado di fare la differenza e troppo spesso piazzato; non ce ne vogliano outsider come Jurgen Roelandts o Lars Boom.
Si intuisce come bisogna attendere gli ultimissimi chilometri per capire in che direzione si debba evolvere la gara. E bisogna attendere l’entrata nel mitico velodromo di Roubaix per comprendere come battere quel crucco – usiamo questo termine con tanta simpatia – sia davvero difficile. E difatti lo sprint finisce per essere senza storia: Zdenek Stybar prova ad anticipare tutti, Greg Van Avermaet si trova inizialmente chiuso, così John Degenkolb vince facile e vince con merito la Roubaix delle incertezze. Lui che oramai una certezza del ciclismo lo è!
Merita un discorso a parte sir Bradley Wiggins. La Regina non si è affatto impietosita dall’ultima gara del colosso del ciclismo britannico e non è rimasta affascinata neppure dal titolo nobiliare e dal suo stile molto british. Scherzi a parte, il leader del Team Sky attua un unico vero scatto, a trenta chilometri al traguardo, ma vuoi la poca convinzione, vuoi la mancanza di supporto degli altri contrattaccanti, vuoi – forse – che le gambe sono quelle che sono – la sua speranza non è divenuta realtà. E tra gli otto corridori arrivati a giocarsi la volata è assente la sua barba carota.
Sbancato il calendario su pista – Mondiali ed Olimpiadi in cascina – ecco l’obiettivo Tour de France: centrato, in un’edizione appositamente disegnata per lui, con tanto di Chris Froome gregario più forte dello stesso, ma costretto a placare il suo impeto. Così rotta sulla seconda corsa a tappe per importanza, il Giro d’Italia: respinto in pieno con tanto di goffaggine nelle discese italiane. Non rimane, così, che la Roubaix per chiudere il cerchio: nono lo scorso anno, fuori dalla top ten quest’anno. La sua vera dimensione è dunque la pista – lì sì che è un fenomeno – ed è lì che tornerà, per preparare il record dell’ora prefissato per il prossimo giugno e per programmare la difesa dell’oro a cinque cerchi prevista per il prossimo anno a Rio de Janeiro.
Con tre classiche-monumento ormai alle spalle e due nomi – John Degenkolb e Alexander Kristoff – due gradini sopra tutti, protagonisti di quel ricambio generazionale di cui si parlava dopo il Fiandre, siamo pronti ora a tuffarci nella seconda parte delle Classiche del Nord, quelle in cui sono le cotes delle Ardenne a farla da padrone. E dove, forse, anche gli azzurri che hanno così bivaccato oggi – sfortunati Daniel Oss e Matteo Trentin, poco allineato Pippo Pozzato, non è rimasto che un bravo Marco Marcato – troveranno terreno più fertile per riemergere. Nell’attesa che l’ormai fatidico e lungo digiuno possa rompersi.