Il bis è servito. A due anni dall’ultimo trionfo e ad uno dalla cocente delusione del ritiro forzato, Christopher Froome ritorna in giallo a Parigi: è il secondo Tour de France della sua carriera. Parte da favorito numero uno, in virtù di un avvicinamento che l’ha portato ad essere al top già al Delfinato, e non delude le attese: insegne del primato conquistate anzitempo e Grande Boucle messa in cascina sin dal primo arrivo pirenaico, in quel di Pierre San Martin in cui dà una straordinaria dimostrazione di forza.
Giorno della consacrazione, quello, ma anche l’inizio delle mille polemiche. Non è amato Chris Froome, lo sappiamo, sin dal 2013: nonostante i due successi, è inviso al pubblico (francese e non solo), che ha più volte manifestato la sua evidente antipatia verso quel britannico dallo stile goffo, ciondolante, eppure maledettamente efficace, e verso quelle prestazioni d’altri tempi che fanno storcere il naso a molti. Non siamo qui ad elencare gli spiacevoli gesti nei suoi confronti – comunque la si veda, certamente da condannare perché lontani dall’essenza dello sport – ma il Keniano bianco ha indubbiamente fatto poco per attirare su di sé i sorrisi dei transalpini, a differenza, per esempio, di un Vincenzo Nibali capace di entrare nel cuore dei francesi, pur impedendo proprio ai beniamini di casa di trionfare a trent’anni dal loro ultimo successo.
Tour già messo in cascina a Pierre San Martin, si diceva. Fatica più del previsto, però, l’ultima settimana, quella alpina in cui Nairo Quintana si sveglia e gli dà del filo da torcere. Ma il trentenne nativo di Nairobi gestisce tutto alla grande, appoggiato in primis da una squadra suprema, il Team Sky: Richie Porte, che lo stesso leader non esita a definire “il miglior compagno di squadra ed il miglior amico che si possa avere”, Wout Poels e Geraint Thomas si rivelano pilastri fondamentali per la costruzione del successo finale, senza i quali, probabilmente, tutto sarebbe stato in pericolo.
“Quante emozioni”, dichiara al termine dell’Alpe d’Huez e di un percorso di sacrifici intrapreso nel 2011, con l’inaspettato secondo posto alla Vuelta a Espana, occasione nella quale comprese come Claudio Corti, suo scopritore ai tempi della Barloworld, avesse ragione ad affermare: “Sarai presto un campione dei Grand Tours”. “Incredibile essere di nuovo qui: vincere è difficile, ripetersi lo è ancora di più“. E sul podio di Parigi si lascia andare alla commozione: “Grazie a tutti. Sono orgoglioso di far parte della storia di questa corsa che non ho mai disonorato”.
Ora è tempo di fare festa, poi un po’ di relax – ed una new entry in famiglia, Froome junior – prima di riflettere sul prosieguo della stagione. Che potrebbe tradursi in Vuelta a Espana.