Russia fuori da ogni competizione internazionale, Giochi Olimpici compresi! Questa la raccomandazione della Wada, Agenzia Mondiale Antidoping, all’indomani dello scandalo che ha coinvolto la Russia dell’Atletica leggera.
Doping di Stato, si è detto, a proposito della nazionale dell’Est Europa, le cui medaglie conquistate a livello globale negli ultimi quindici anni si auspica siano ritirate e riconsegnate. Il colosso mondiale dell’antidoping sostiene l’evidenza delle prove, così come il marciatore azzurro Alex Schwazer, che sta scontando la sua squalifica e intanto sentenzia amaramente: “Dal 2011 ebbi la certezza che i marciatori russi erano dopati, ma lo sospettavo già dal 2008“.
Il Paese russo parla, invece, di infondatezza di tutto ciò e ritiene che tali accuse siano mosse esclusivamente per motivi politici, per recare anzitutto un danno di immagine alla figura del suo Presidente, Vladimir Putin. Lo scandalo è colossale, ma siamo sicuri che sia un caso isolato?
La Wada già fa sapere che la prossima nazione a passare sotto esame sarà il Kenya, protagonista di un autentico exploit agli ultimi Campionati Mondiali di Atletica Leggera, con la vittoria nel medagliere. Ma dal 2012 i casi di positività riscontrati tra atleti del Paese africano sono davvero tanti, tali da far emergere molti dubbi. Poi sarà la volta di Turchia ed Etiopia.
Ed è finita qua? Quante volte abbiamo assistito, pur in mancanza di prove, a prestazioni dubbie di atleti o intere compagini? Non bisogna risalire alla Germania dell’Est per trovare esempi analoghi. Tanti, infatti, sono i casi recenti che potremmo citare.
Per restare nel mondo dell’atletica, quanti statunitensi di fama sono stati trovati positivi alle soglie del nuovo millennio e privati delle loro medaglie? Ben Johnson – Seul 1988 – fu il precursore del baro a stelle e strisce, seguito poi, per citarne una, da Marion Jones, che fu costretta ad ammettere l’uso di sostanze illecite e a restituire ogni alloro conquistato tra il 2000 e il 2004.
E che dire delle cinesi dell’atletica degli anni ’90, quelle che correvano “col sangue di tartaruga”, detentrici tuttora di diversi record mondiali? E le colleghe del nuoto, tra cui ragazzine capaci di fare vasche con tempi migliori di Michael Phelps?
E che dire della Spagna, che tanti propri connazionali ha coperto nell’ultimo decennio. Con la famigerata Operacion Puerto ha pagato soltanto il mondo del ciclismo – più che quello iberico, quello di altri Paesi, tra cui l’Italia – mentre erano evidenti legami con altre discipline, dal calcio al tennis (sport in cui gli spagnoli negli ultimi anni hanno dominato), che l’hanno certamente scampata. Ciclismo che a sua volta, però, ha dovuto fare i conti con un numero esagerato di casi di doping, con l’apice raggiunto dall’affare Lance Armstrong.
Potremmo andare avanti con numerosissimi altri esempi. Non ci meravigliamo, dunque, che in Russia si sia praticato, come sostiene la Wada, doping di massa, ma siamo davvero convinti che estromettendo il Paese dalle Olimpiadi tutto sarà trasparente? I dubbi rimangono: finché lo sport sarà legato, ahinoi, al business, l’imbroglio sarà dietro l’angolo.