Ha deciso di non proferire parola, dal quel 16 giugno, ma di ascoltare, piuttosto, tutto ciò che avevano da dire gli altri, anche se il più delle volte si trattava di critiche nei suoi confronti. Ora, Fabio Taborre, a cinque mesi di distanza da quella positività alla sostanza FG-4592 – uno stimolante per la produzione nei globuli rossi, utilizzato nei casi di anemia e figurante tra i prodotti dopanti dal 1 giugno – dalle pagine del quotidiano La Repubblica prova a difendersi.
Non va già quella multa da 100 mila euro – nel frattempo divenuti 250 mila euro per i danni di immagine recati al team, la mancata concretizzazione di un accordo con uno sponsor e il mese di stop inflitto dall’Uci alla squadra – che l’ormai ex ciclista dell’Androni-Sidermec sarà costretto a pagare per aver infranto il codice penale previsto dalla sua squadra da lui stesso aveva firmato davanti al notaio.
Tante cose non gli tornano in quella che definisce “una storia incredibile”: “come mai i miei valori, dopo quel controllo, non si siano sostanzialmente modificati, come mai l’ematocrito non è salito, l’emoglobina è rimasta identica“. “Nulla di ciò che mi è accaduto da quel 16 giugno ha una logica”, dichiara perplesso.
Utilizza il termine “sabotaggio“, Taborre, ma non sa da parte di chi e per quale motivo sia nato tutto ciò e soprattutto non crede che sia questo “il modo per combattere il doping”. E così appare sconcertato di fronte allo stato dei fatti: “Ero al minimo di ingaggio, guadagnavo 30 mila euro l’anno. La mia vita è rovinata, la carriera è andata”.
Nel mese di marzo sarà chiamato, assieme al compagno Davide Appollonio, anch’egli positivo a pochi giorni di distanza da lui, a comparire in tribunale davanti a Gianni Savio e al resto dello staff. “Tolleranza zero. Chi si dopa è un criminale e deve pagare”, così aveva tuonato il manager torinese l’indomani dei due casi in squadra. Staremo a vedere se lo stesso sceglierà di rispondere alle parole del suo ex dipendente o se preferirà concentrarsi sul processo in tribunale.
AGGIORNAMENTO 03/12. Ai microfoni di Cyclingpro arriva puntuale la risposta di Gianni Savio. “Il fatto che Taborre si presenti come una vittima è fuori luogo e altera la realtà”, replica il manager torinese, che aggiunge: “Vittima non è Taborre, ma sono i suoi compagni di squadra […] Taborre si proclama innocente ora dopo cinque mesi, mentre a suo tempo […] non ha chiesto le controanalisi, senza rispondere alla lettera di convocazione della squadra”. “Oggi il doping è un crimine per la legge italiana […] per cui chi commette doping è un criminale“, conclude Savio.