Esteti e appassionati di calcio esprimono sincera riconoscenza a Johan Cruyff, all’uomo che rivoluzionò per sempre lo sport più popolare al mondo, trasportandolo nella modernità. Profeta del calcio era il suo soprannome; Gianni Brera lo definì, e non a torto, il Pelé bianco. Cruyff è stato, in breve, il più grande calciatore europeo della storia. Senza se e senza ma.
Una vita fatta di numeri straordinari, quella del numero 14 nato ad Amsterdam il 25 aprile del 1947: dai 3 Palloni d’oro (l’unico con Michael Platini e Marco Van Basten ad averne vinti tanti, precisamente nel 1971, 1973 e 1974) fino allo slam della Coppa dei Campioni vinta sia da giocatore che da allenatore (insieme ad altri sei grandi del calcio mondiale).
E poi il suo straordinario palmares sul campo – 9 campionati olandesi, 6 coppe di Olanda, 3 Coppe Campioni consecutive, una Supercoppa Europea e una Intercontinentale col suo Ajax all’alba degli anni Settanta, più la parentesi fortunata in Catalogna – e in panchina – due Coppe d’Olanda, una Coppa di Spagna, 4 Liga con il Barcellona più un’altra preziosissima manciata di trofei internazionali vinti sia sulla panchina blaugrana che su quella dei Lancieri.
Ma Cruyff è sinonimo di calcio totale: trequartista, ala, centravanti, è a lui, all’Ajax guidata da Ştefan Kovács e alla fantastica nazionale Oranje di Rinus Michels degli anni ’70, che si deve la più compiuta realizzazione di quello stile di gioco destinato a sbaragliare le difese avversarie e a restare ancora oggi nella mente di tutti gli appassionati. Scatti brucianti, dribbling, pennellate geniali, affondi imperiosi, gol incantevoli costituirono i suoi marchi di fabbrica in un’epoca in cui sì, il calcio era ancora poesia e lui era il massimo interprete.
Certamente brucianti alcune sue sconfitte – dalla finale Mondiale persa nel ’74 contro la Germania Ovest, fino alla scoppola da allenatore nell’ultimo atto di Coppa dei Campioni ’94 contro il Milan – ma per quanto lasciatoci in eredità, lo ribadiamo: grazie, Johan Cruyff.