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Peter Sagan. Foto: Graham Watson

Giro delle Fiandre 2016, l’analisi: due iridati trionfano alla Ronde n.100

Un’edizione epica, la 100^ del Giro delle Fiandre. Epilogo migliore non potevano augurarselo, organizzatori ed appassionati del grande ciclismo: a portare a casa la prestigiosissima Classica dei Muri sono stati due campioni del mondo, Peter Sagan nella prova maschile e Lizzie Armitstead in quella femminile, padroni della corsa ed aizzatori di un pubblico estasiato dalle loro superbe performance.

Superbo è, infatti, ciò che ha compiuto Peter Sagan. Sembrava un inizio di stagione stregato, il suo: dopo l’alloro di Richmond, tardava ad arrivare quella vittoria, mentre giungevano in abbondanza secondi e terzi posti, assolutamente inutili per uno che deve far brillare l’iride che indossa. La scorsa domenica, in quella tragica Gand-Wevelgem, il tabù infranto, l’inizio di una settimana trionfale forse destinata, chissà, a proseguire fino a Roubaix.

Lezione di tattica e di forza, quella del campione slovacco della Tinkoff, che non ha avuto timore di anticipare tutti e di partire a 30 km all’arrivo, sgretolando le (poche) certezze degli avversari. “Sono contento di aver vinto una gara così importante – sono le sue prime parole dopo aver tagliato da trionfatore il traguardo di Oudenaarde – È la mia prima classica monumento e voglio dedicarla a due ragazzi come Demoitié e Myngheer, scomparsi pochi giorni fa, e alla mia squadra, che ha dato il massimo per me”. Il ventiseienne di Zilina è il quinto corridore della storia a centrare la doppietta Mondiale-Fiandre dopo Bobet, Van Looy, Mercks e Boonen: alla sua età, è lecito attendersi altri ambiziosi traguardi.

Il pubblico gli tributa una grossa ovazione, ma c’è “delusione” nella mente di Fabian Cancellara (Trek-Segafredo) per come si è conclusa la sua ultima volta sul pavé fiammingo. Non corre mai per arrivare secondo, la Locomotiva di Berna, ma sa che più di quanto fatto, stavolta, proprio non era possibile. “Sagan ha meritato di vincere“, ammette sportivamente, smentendo poi chi gli imputava di aver perso l’attimo di andare dietro lo slovacco (e a Kwiatkowski) nel momento dell’attacco sul Paterberg: “Ho dato tutto quello che avevo. Non sono superman“.

Chi ha avuto la meglio sulla sfortuna è stato Sep Vanmarcke, terzo all’arrivo. Tra cadute e incidenti meccanici, l’olandese della LottoNL-Jumbo ha più volte rischiato di non proseguire il suo cammino lungo i 260 km previsti. Ma la sua tenacia e la sua abilità su muri e pavé gli hanno dato ragione, permettendogli di cullare per qualche attimo il sogno di giocarsi la vittoria col campione del mondo, salvo poi arrendersi alla irresistibile progressione di quest’ultimo. Chi invece deve maledire la cattiva sorte è Greg Van Avermaet (Bmc), caduto a terra e scoppiato in lacrime di nervovismo per aver mancato l’occasione della vita (“Corro solo per il primo posto”, aveva detto alla vigilia). Fratturatosi la clavicola, dovrà osservare un mese di stop.

Era il campione uscente, ma la conferma era quantomai difficile, nonostante la vittoria a La Panne l’aveva reso più ottimista. Non tutti gli anni sono uguali e lo sa bene, Alexander Kristoff, comunque lucido a leggere nel modo giusto la corsa e, con una condizione non eccelsa, abile a chiudere in quarta posizione. Un piazzamento che nulla aggiunge al suo palmares, ma che è un premio, in ogni caso, alla sua buona volontà di onorare fino in fondo la corsa. “Ero abbastanza stanco e non ero in grado di seguire gli attacchi. Comunque sono riuscito ad ottenere un quarto posto”, sintetizza il norvegese della Katusha dopo l’arrivo.
Ancora incredibilmente assente la Etixx-Quick Step, che tanto che lavorato on Tony Martin, ma poi è scomparsa quando c’era da attaccare: che ne è di quello squadrone disegnato appositamente per le Classiche del Nord e che, dopo i fallimentari Harelbeke, Gand e Fiandre 2016? Il team di Patrick Lefevere deve necessariamente porsi qualche interrogativo, provando a salvare la prima parte di stagione alla Roubaix.

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