Una mazzata a ciel sereno. Roberta Caputo, la velista azzurra esclusa in via cautelare da Rio 2016 per doping, si difende: non sono dopata.
Una situazione surreale, quella vissuta dalla ragazza napoletana classe 1992, che era già nella città brasiliana per preparare l’inizio delle gare: il debutto sarebbe dovuto essere il 10 agosto alle 18 nella specialità in cui s’era qualificata, in coppia con Alice Sinno: il 470.
Lì è arrivata la doccia gelata: positività a un controllo antidoping, immediata rimozione dall’elenco iscritti all’Olimpiade, sostituzione con la collega Elena Berta e inizio di una gogna mediatica che non sente di meritare.
Sulla sua pagina Facebook Roberta Caputo ha raccontato l’incresciosa situazione, nata – secondo quanto riferisce – da una crema antibrufoli: la positività al Clostebol, cortisonico ad attività anabolizzante, sarebbe da imputare all’applicazione di una crema per i brufoli, un medicinale da banco chiamato Trofodermin, comune cicatrizzante per ferite e ulcere.
A detta della velista napoletana, l’uso della crema risale agli inizi di giugno, quando era impegnata alla tappa di Coppa del Mondo a Weymouth e non era ancora inserita nel programma nazionale antidoping (dipendente dalla gestione internazionale della Nado).
I residui della sostanza sono rimasti nel corpo dell’atleta fino al controllo di inizio luglio: una beffa inimmaginabile, sentenzia la specialista della vela, che ha provato a spiegare la sua innocenza senza però vedere cambiata la sua posizione.
La Caputo non ha intenzione di sporgere ricorso e ha accettato con mestizia e compostezza l’eliminazione del suo nome dal novero dei convocati di Rio 2016. Ora sguardo e pensieri vanno già al futuro: «Farò il possibile per tornare in barca più presto possibile, e soprattutto voglio condividere la mia storia perché possa servire d’esperienza e magari anche cambiare questo sistema che taglia le gambe a buoni e cattivi senza differenza».