L’atletica azzurra torna da Rio 2016 con uno sconfortante zero nella casella delle medaglie e soli 5 finalisti: mai così male da Montreal 1956. Dopo la fallimentare spedizione di Pechino 2015, ancora brutti segnali dalla disciplina regina dei Giochi Olimpici.
A nulla sono valsi le 5 qualificazioni alla finale ottenute da Matteo Giupponi e Antonella Palmisano nella 20km di marcia, da Libania Grenot nei 400 metri, dalla staffetta 4×400 donne e da Alessia Trost nel salto in alto (eguagliato il numero di finalisti di Londra 2012); rispetto a quattro anni fa l’Italia non è riuscita a salire su nessun podio (in Gran Bretagna c’era riuscito Fabrizio Donato, arrivato al bronzo).
Non solo: il numero complessivo di punti riportati dalla spedizione “leggera” azzurra è di 14 appena, mentre nell’Olimpiade londinese fu di 17; un trend negativo, se si pensa ai 20 di Pechino 2008 e ai 27 di Atene 2004.
Son tutti numeri che testimoniano purtroppo il rapido e continuo declino dell’intero movimento atletico italiano nel panorama internazionale, nonostante gli ottimi piazzamenti che avevano preceduto i Giochi brasiliani. Si pensi, fra tutti, ai primi posti e ai record di Gianmarco Tamberi, l’altista anconetano su cui tutta l’Italia poteva forte per la medaglia olimpica del colore più prestigiosa. E invece il rovinoso crack sul tentativo di salto a 2,41 m al meeting di Montecarlo di luglio ha estromesso un atleta che avrebbe dato molto probabilmente grandissime gioie a Federazione e appassionati.
I Giochi di Rio 2016 hanno significato cinque nuovi primati stagionali e uno personale (Giupponi nei 20km di marcia); troppo poco però per non far pensare al disastro sportivo. Per un soffio nella marcia femminile è sfuggito il podio ad Antonella Palmisano: un bronzo sarebbe servito se non altro a rialzare il morale dell’atletica italiana.
Alcuni timidissimi segnali comunque ci sono: il 4° posto della Palmisano, appunto (e bisogna recuperare, sempre nella marcia, una Eleonora Giorgi incappata nel nono rosso in stagione); una Libania Grenot che è stata la prima italiana a correre una finale olimpica dei 400 metri; le staffettiste Mariabenedicta Chigbolu, Maria Enrica Spacca, Ayomide Folorunso e la già citata Grenot che hanno riportato il quartetto del miglio in una finale olimpica 32 anni dopo l’ultima volta; Folorunso e Yadis Pedroso semifinaliste nei 400hs; il 5° posto di Alessia Trost nell’alto in un anno particolarmente accidentato e l’1,94 dell’altra altista Desirée Rossit in qualificazione; l’ottavo posto con primato personale di Matteo nella 20km di marcia.
Forse troppo poco, ma pur sempre punti da cui ripartire: escludendo magari la sfortuna che ha colpito qualcuno (Veronica Inglese nei 10000 metri); gli infortuni o la non perfetta forma fisica di altri (Silvano Chesani o Daniele Meucci).
Si poteva, si doveva dare di più: ora l’atletica azzurra ha quattro anni per ricostruire e ricostruirsi convinzione e credibilità. Abbiamo diversi talenti su cui puntare, alcuni dei quali non presenti a Rio (pensiamo al velocista Filippo Tortu, per esempio): sprecato buttarli via.