È tempo di bilanci a margine della prova élite dei Campionati Mondiali di ciclismo su strada Doha 2016. Ha vinto il più forte, Peter Sagan, sul quale ci siamo già soffermati mettendo in rilievo i numeri che, a soli 26 anni, fanno di lui un extraterrestre dello sport mondiale. E poi cosa rimane?
Rimane una Italia buona e volitiva, che si fa trovare attenta nei momenti concitati di corsa ed è lì a giocarsela assieme ai migliori. Va visto come positivo, dunque, il quinto posto conquistato da Giacomo Nizzolo, leader del clan Cassani. Qui un’analisi approfondita sulla nazionale azzurra.
Dovendo fare il computo per nazioni, c’è chi vince e c’è chi perde miseramente. Ai punti non vince, ma stravince il Belgio, grazie al quale il Mondiale assume connotati tutt’altro che monotoni e grazie al quale la bagarre comincia quando al traguardo mancano ancora 176 km. L’aveva detto Tom Boonen alla vigilia di voler fare corsa dura nel deserto, sfruttando il vento e la poca attitudine di molti a gareggiare con quelle condizioni meteorologiche.
Sono stati di parola, lui e la sua squadra: ben sei uomini a menare dritto e ad allungare il plotone fino a farlo esplodere in tanti pezzi. Certo, la medaglia di bronzo può star stretta a Tornado Tom, che una maglia iridata l’ha già vinta a Madrid 2005 e qui in Qatar ha collezionato 22 successi parziali (e quattro classifiche generali). Ma è il primo a complimentarsi col campionissimo slovacco sorridendogli, a dimostrazione che meglio di così non era possibile fare.
Non la prende bene Mark Cavendish, che sognava il bis iridato dopo Copenaghen 2011. Ma se l’argento conquistato dal britannico sa di sconfitta da parte del diretto interessato, che deve piuttosto rammaricarsi per aver avuto accanto a sé il solo Adam Blythe, cosa dovrebbero dire nazionali presentatesi all’appuntamento con grandi proclami e costrette a tornare a casa con un pugno di mosche? È clamoroso, sotto quest’aspetto, il flop colossale di Germania e Francia.
I tedeschi si presentano con sei atleti, tre dei quali capitani: encomiabile il lavoro di John Degenkolb e di un Marcel Kittel che rinuncia a fare la primadonna mettendosi a disposizione della causa comune che è Andre Greipel. Ma è troppo tardi, dal momento che si fanno cogliere di sorpresa dall’azione dei belgi e finiscono nella loro morsa, col Gorilla di Rostock unico a tagliare il traguardo.
Ancor peggio, se vogliamo, fanno i francesi, al via con i due capitani Arnaud Démare e Nacer Bouhanni. Alla vigilia avevano chiesto al ct transalpino di portarsi tre uomini di fiducia ciascuno dalle rispettive squadre. Eccoli accontentati, ma ciò non basta loro per superare l’ostacolo vento. Il vincitore dell’ultima Milano-Sanremo si arrende davvero troppo presto, il franco-maghrebino giunge nel secondo gruppo, a oltre cinque minuti di ritardo. Avere tanti galli nel pollaio si dimostra ancora una volta controproducente e così il migliore dei blues è William Bonnet, ottavo e unico uomo a far parte del drappello di testa.