È dalle più cocenti sconfitte che nascono memorabili vittorie. Un insegnamento che vale nella vita come nello sport: lo sa bene la nazionale italiana di calcio, che per due volte tocca il punto più basso della sua storia e per due volte è capace di rialzarsi giungendo ad apici prestigiosi. Il caso vuole che entrambe le volte sia la stessa nazione, che per meschini disegni politici si trova tuttora divisa in due Stati, l’autrice della disfatta tricolore: si tratta della Corea, che a distanza di 36 anni l’una dall’altra ci ha fatto piangere amaramente.
1966. È l’estate dei Beatles che impazzano nei juke box di mezzo mondo e dei maestri inglesi che, per la prima e unica volta nella storia, si trovano a trionfare in Coppa del Mondo davanti al pubblico amico. Ed è l’estate in cui in Italia si consuma una tragedia sportiva che prende il nome di Fatal Corea. La nazionale azzurra, guidata dal rampante commissario tecnico romagnolo Edmondo Fabbri, è inserita nel quarto raggruppamento assieme agli stessi asiatici, alla forte Unione Sovietica e al Cile con cui quattro anni prima si era consumato uno dei più feroci match calcistici, la Battaglia di Santiago.
Superiamo 2-0 i sudamericani con reti di Mazzola e Barison, ma veniamo piegati dai sovietici con un 1-0 firmato Cislenko, che assicura alla sua squadra il primo posto del girone. Basta un punto, tuttavia, per avanzare al turno successivo. E vuoi che non si ottenga un punto contro la cenerentola Nord Corea, alla sua prima partecipazione mondiale?
Si gioca all’Ayresome Park di Middlesbrough davanti a ventimila spettatori. Il divario tecnico tra le due compagini è assai rilevante per poter anche solo pensare ad un possibile colpaccio da parte degli asiatici: in campo Fabbri manda uomini di Inter e Milan, ai vertici del calcio europeo in quel periodo, senza dimenticare rappresentanti del Bologna in grado di vincere appena due anni prima il titolo di campione nazionale. Le prime due apparizioni non convincono affatto, va detto, ma stavolta gli avversari sono troppo scarsi, e pur con un Giacomo Bulgarelli malauguratamente sceso in campo nonostante un ginocchio malconcio, deve venir tutto facile.
Quegli avversari dai nomi quasi impronunciabili fanno più ridere che spaventare – i Ridolini, li chiama la stampa – eppure alla fine sono loro a ridere di noi. È il 41° minuto del primo tempo: dopo alcune azioni non concretizzate dall’Italia, un certo Pak Doo Ik, divenuto a ragione un vero eroe nazionale, infilza il portiere azzurro Enrico Albertosi con un tiro dal limite: 1-0. Non basta quasi un’ora di gioco per sovvertire il risultato: i nostri sono in piena confusione e appaiono storditi di fronte alla velocità del gioco coreano, che coglie di sorpresa i bicampioni del mondo. È una vera umiliazione: la Corea del Nord elimina l’Italia dal Mondiale gettando un’ombra di vergogna sull’intero movimento nazionale.
Una sconfitta dura da digerire e al rientro a casa un lancio di pomodori è ciò che aspetta l’intero gruppo. Ma appena due anni più tardi arriva il trionfo ai Campionati Europei ospitati in casa e, ancora due anni dopo, lo splendido mondiale messicano concluso col secondo posto alle spalle dell’inarrivabile Brasile, ma con l’orgoglio di aver disputato la partita della storia (Italia-Germania 4-3).
Ma questa è un’altra storia…