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Inchiesta “Paga per correre”, inibiti Citracca e Savio

Colpo di scena nell’inchiesta “Paga per correre”, nata alcuni mesi fa a seguito di testimonianze emerse da un reportage giornalistico: ribaltando il provvedimento emesso in primo grado lo scorso novembre, la prima sezione della Corte d’Appello della Federciclismo ha inflitto condanne a tre dei quattro imputati in prima istanza assolti.

Nello specifico, Angelo Citracca, attuale team manager della Wilier Triestina-Selle Italia, è stato condannato a tre mesi di inibizione per “aver condizionato il passaggio al professionismo dell’atleta Giorgio Brambilla”, avendo invitato il procuratore del ciclista ora ritirato, Fabio Emilio Perego, a versare una somma di denaro a titolo di sponsorizzazione del suo assistito.

Stessa sorte è toccata al team manager della Androni-Sidermec Gianni Savio, che secondo i giudici avrebbe condizionato il passaggio tra gli  élite nel 2013 di Patrick Facchini, chiedendo anche in questo caso un compenso monetario proveniente da un fondo di imprenditori locali. Imputato anche un atleta, Marco Coledan, ora alla Trek-Segafredo ma all’epoca dei fatti militante nella Bardiani-CSF: nel suo caso è arrivata una squalifica di quindici giorni che lo costringe a saltare le Classiche del Nord. Esce invece indenne, ricevendo l’assoluzione come in primo grado, il team manager della Bardiani-Csf Bruno Reverberi.

La sentenza è immediatamente applicabile, ma è imputabile di fronte al Collegio di Garanzia del Coni. Il primo a reagire e a dichiarare di volersi appellare ad un nuovo giudizio è Gianni Savio, che attraverso un comunicato si dice “sconcertato e allibito” perché ritiene di non aver violato nessun codice giuridico, né tantomeno etico e morale in merito alla sua condotta da general manager.

Ricostruendo i fatti relativi al caso Facchini, tra l’altro incorso in una squalifica per doping nel 2014 che ha posto prematuramente fine alla sua carriera, il dirigente torinese fa emergere di aver agito nel rispetto delle regole, così come tale ha fatto relativamente ai casi di Mammini e Malaguti, per i quali, infatti, il Caf ha respinto la richiesta di inibizione di Savio a diciotto mesi.

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