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Rivoluzione Djokovic: via tutto lo staff “per ritrovare la scintilla”

I risultati non arrivano da troppo tempo (l’ultimo torneo di prim’ordine messo in cascina è stato il Masters 1000 di Toronto dello scorso luglio), così Novak Djokovic ha scelto la soluzione più drastica, ma probabilmente la più logica: allontanare lo storico staff con il quale ha costruito le migliori fortune della sua carriera. Si tratta dello storico coach Marian Vajda, del preparatore atletico Gebhard Phil Gritsch e del fisioterapista Miljan Amanovic, con i quali il sodalizio era cominciato nel 2006.

Voglio ritrovare la scintilla che mi serve per vincere“, sono le prime parole rilasciate dal ventinovenne serbo per spiegare la scelta ponderata da tempo. Dopo il torneo di Monte-Carlo, concluso con un nulla di fatto come tutti i maggiori appuntamenti disputati dagli ultimi mesi del 2016, è stata presa la decisione, già comunicata ai diretti interessati, di intraprendere strade diverse. Si dice “per sempre grato” ai tre stretti collaboratori, con cui è legato da una sincera amicizia decennale – che tale rimarrà anche in futuro – e ammette che senza di loro, “forza trainante e vento che gonfiava le vele” non avrebbe potuto essere il forte tennista che è diventato.

Ad intervenire sulla separazione è lo stesso allenatore Vajda, che a nome del team da lui presieduto afferma di aver “vissuto e respirato per il suo successo e per i suoi sogni” nel corso di questi anni e si dice orgoglioso di aver contribuito in modo determinante alle sue vittorie. Aggiungendo di essersi reso conto che il suo ormai ex allievo abbia bisogno di “nuova energia”, si dice convinto che Djokovic possa restare al top ancora per molti anni, portando “molta gioia” nell’ambiente tennistico.

Per il prossimo periodo Nole giocherà senza coach, come stanno attualmente facendo altri grandi del circuito come Juan Martin Del Potro e Nick Kyrgios. Assicura che non vuole mettersi fretta di trovare una nuova guida, e chiede del tempo per ritornare a carburare come i vecchi tempi, convinto che questa “terapia d’urto” possa funzionare.

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