Riavvolgendo il nastro di questo 6° scudetto di fila della Juventus c’è un evento cerchiato di rosso: la svolta del 4-2-3-1 di gennaio. Questa è una storia tricolore.
Il terzo scudetto della gestione-Allegri non è stato sicuramente difficoltoso come il secondo, quello dell’anno scorso e della rimonta incredibile con 15 successi di fila iniziata col gol di suola di Cuadrado nel derby di Halloween 2015. Eppure anche la Juventus di quest’anno ha faticato parecchio a trovare la quadra, sia dal punto di vista tattico che da quello tecnico.
Complici la partenza estiva di Paul Pogba e la lunga degenza di Claudio Marchisio, Allegri ha dovuto spesso sperimentare per dare un assetto vincente alla sua Juventus resa nuova dagli arrivi di pezzi da novanta come Dani Alves, Pjanic e Higuain.
Nel corso dei primi mesi la Vecchia Signora ha cambiato spesso pelle, in tutte le competizioni e in tutte le situazioni di gioco, passando dall’ormai collaudato 3-5-2 che il tecnico livornese ereditò da Conte ai moduli svariati, compresi quelli con tre punti o con l’utilizzo del trequartista.
Lontana dallo Stadium la Juventus ha conosciuto pure diversi passaggi a vuoto – vedi le due sconfitte a San Siro contro l’Inter in settembre e col Milan in ottobre e quella pesantissima del Ferraris col Genoa il mese successivo – ma è rimasto sostanzialmente aggrappata alla vetta della classifica con un ruolino impressionante fra le mura amiche (tutte vittorie pure quest’anno, a parte il pari nel derby col Toro di qualche settimana fa) grazie ai colpi dei suoi campioni. Pur senza brillare, ma vincendo talmente spesso prima di Natale (14 vittorie e 3 sconfitte) da dire quasi sempre.
Fra le sconfitte esterne però una è rimasta indelebile: la sberla di Firenze del 15 gennaio. Lì al Franchi una Juventus reduce pure dalla sconfitta natalizia nella finale di Supercoppa contro il Milan becca una serata disastrosa, con il 3-5-2 che vacilla pericolosamente e lo spettro di una crisi d’identità che, al di là dei risultati molto lusinghieri, sembra pericolosamente inoltrarsi a Vinovo e dintorni.
Ma la risposta arriva subito, immediata: ed è la vera svolta della stagione. Il 22 gennaio contro la Lazio Allegri vara la nuova Juventus a cinque punti, il 4-2-3-1 con Pjanic, Cuadrado, Dybala, Mandzukic e Higuain in campo tutti assieme dopo mesi di sperimentazioni e impieghi a mezzo servizio. Il 22 gennaio la Vecchia Signora torna a vincere convincendo, con il bosniaco finalmente svincolato dai compiti di copertura vista la presenza di Khedira, gli esterni che si sacrificano e la Joya a fare da folletto impazzito dietro al cinico e spietato Higuain.
Da quel momento in poi la Juventus non si ferma più, né in campionato né in Coppa Italia né in Champions League: lì dove Allegri firma un capolavoro assurdo mandando al tappeto 3-0 gli alieni del Barcellona e conquistandosi una meritatissima semifinale di Coppa in due notti magiche che a Torino si ricorderanno per anni e anni.
Contro la Juventus vanno a sbattere praticamente tutte, compreso il Napoli che a inizio aprile al San Paolo finisce per arrendersi all’1-1 tutta intelligenza e sofferenze di una squadra che, quando vuole e all’occorrenza, sveste i panni da grande e gioca da provinciale.
Una Juventus camaleontica: questa la vera cifra dei bianconeri targati Max Allegri. Arrivati al massimo divario sulle rivali, +11 sulla Roma e +12 sugli azzurri, dopo il roboante 4-0 al Genoa con cui la Juventus completa il ciclo delle vendette.
La sconfitta di Roma di una decina di giorni fa è solo una virgola stonata in una stagione mirabolante, per una Juventus che pure quel giorno s’è nascosta per andare a vincere poi sempre nello stesso stadio la Coppa Italia consecutiva numero tre. Tre come gli scudetti di fila dell’era Allegri, certificato dalla vittoria sul Crotone. Terzo double consecutivo e un dominio assoluto in Italia.