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Tour de France 2017, i promossi e i bocciati

Tour de France 2017, è tempo di bilanci: ecco i promossi (in verde) e i bocciati (in rosso) della 104^ Grande Boucle conclusa con la quarta vittoria di Chris Froome.

Chris Froome e Team Sky. Semplicemente perfetti: hanno la capacità di ammazzare la corsa e di renderla noiosa. Sembra passeggino sulla strada, in realtà alle loro ruote si registra la media più alta di sempre, 40.953 km/h. Quanti pagherebbero per avere in squadra i vari Mikel Landa (avrebbe vinto la generale, se non avesse dovuto fare il gregario), Michal Kwiaktowski o Luke Rowe? Nessuno, dal momento che soltanto loro possono permetterseli economicamente.

Fabio Aru. Un grande: due settimane condotte ad alto livello, la vittoria sul primo arrivo in salita a La Planche des belles filles e la conquista della maglia gialla per due giorni a spezzare il dominio britannico. Poco importa se nell’ultima settimana precipita in quinta posizione (bronchite o non bronchite, squadra o non squadra): il Tour è alla sua portata.

Rigoberto Uran. Ciccio ritorna in alto. Dopo aver ottenuto due podi al Giro d’Italia e dopo aver passato due anni sottotono, eccolo di nuovo tornare in auge e conquistare un secondo posto a Parigi. Lui la squadra l’ha avuta sempre al completo, ma si è rivelata puntualmente invisibile giorno dopo giorno.

Sunweb. Dopo la Sky, la compagine più forte. Corre senza pensieri e senza pressioni e strabilia tutti: quattro tappe conquistate da Michael Matthews e Warren Barguil, più le maglie verde e a pois portate a casa dagli stessi due corridori. E il francese si becca anche il Premio Supercombattività (ma quello la giuria glielo assegna tra le polemiche dei non francesi).

Thomas De Gendt. È lui il supercombattivo, nonostante la giuria decida incredibilmente il contrario. Va in fuga per undici tappe su diciotto e anima anche i tempi morti in cui la voglia dei telespettatori di dormire sul divano è tanta.

Marcel Kittel. Un portento delle volate: lo scorso anno fu una comparsa, stavolta non ha rivali e ne porta a casa cinque di sprint. Ben altro atteggiamento per Andre Greipel: il Gorilla ha perso la sua forza e non ha mai dato l’impressione di potersela giocare, perdendo pure l’ultimo giorno da un arrembante Dylan Groenewegen che, nonostante i suoi 24 anni, non ha paura di confrontarsi con il gotha della velocità e va subito a segno.

Italiani. Di Aru si è già parlato, e poi? Sonny Colbrelli e Diego Ulissi, entrambi al debutto, hanno capito quanto sia difficile essere competitivi su queste strade e tutto sommato si sono ben districati. Matteo Trentin e Dario Cataldo hanno dovuto fare i conti con le cadute e si sono ritirati anzitempo; Fabio Sabatini e Jacopo Guarnieri sono stati preziosi ultimi uomini di Kittel e Démare e il loro impegno è lodevole; Alberto Bettiol ne farà di strada perché ha talento e può lottare per tutti i percorsi misti (il quinto posto a Longwy sa di vittoria, in tal senso).

Daniel Martin. Paga qualche errore tattico qua e là, ma compie il vero salto di qualità l’atleta irlandese, che dimostra di poter finalmente reggere in una corsa di tre settimane e di poter lottare, chissà, per il podio.

Peter Sagan. Soltanto decisioni della giuria possono impedirgli di vincere. È il più forte su certi percorsi, quindi viene mandato a casa perché da fastidio.

Francesi. Il digiuno continua: sono trascorsi 32 anni dall’ultima maglia gialla, ma l’impressione è che ogni anno possa essere quello buono. Froome ha comunque 32 anni e i vari Romain Bardet e Warren Barguil, senza dimenticare Thibaut Pinot (che stavolta ha fatto la comparsa in quanto ha risentito delle fatiche del Giro) e l’astro nascente David Gaudu hanno tutte le carte in regola per compiere l’impresa in un cast comunque molto affollato a livello internazionale.

Nairo Quintana. I risultati parlano chiaro: è andato piano. Ma quanto è difficile bocciare l’unico atleta che ha avuto il coraggio di presentarsi al Giro e al Tour per provare a raggiungere l’obiettivo massimo? Ha fallito in entrambi gli appuntamenti, ma ci ha provato.

Louis Meintjes. È sempre lì, conquista ancora una volta la top ten, eppure non si vede mai. Di qualità ne ha da vendere, questo ragazzo sudafricano di venticinque anni, ma quanto ancora dovremmo aspettare per vederlo un attimino più arrembante?

Esteban Chaves. Non era il suo anno: viene da un brutto infortunio e dalla perdita di una persona cara. Era al debutto in Francia, si riscatterà.

Greg Van Avermaet. Viene da dodici mesi straordinari, inaugurati dall’oro olimpico conquistato a Rio 2016. Qui raccoglie solo un secondo posto: troppo poco per Mister Roubaix. Discorso analogo per il connazionale Philippe Gilbert, mai apparso quello ammirato in primavera, e per Tony Martin, per il quale sembrano ormai lontani i tempi in cui dominava le crono.

Nacer Bouhanni. Oltre ad essere antipatico stavolta va anche decisamente piano. L’unica cosa che riesce a dar forte sono i pugni e le gomitate che rifila all’avversario di turno in volata. Decisamente un altro stile per Arnaud Démare: va fortissimo la prima settimana, sebbene la vittoria arrivi nell’ormai famigerata tappa di Vittel in cui pure il vincitore della Sanremo 2016 ha le sue colpe; poi si spegne progressivamente sul Giura e alza bandiera bianca.

Aso. Il percorso non convince. Mai così pochi chilometri a cronometro, ma quale è stato il risultato? Che il Tour si è deciso ugualmente contro il tempo, visto che lì Froome ha fatto la differenza, non avendo mai staccato nessun rivale in salita. Le montagne non sono mancate, certo, ma quante tappe disegnate male! Per incoraggiare la rincorsa di Bardet, solo tre arrivi in salita, con la conseguenza che i distacchi si sono sempre rivelati minimi perché nessuno si sogna di osare quando ha davanti 30 km di discesa e una Sky alle spalle. Solo per questo motivo si è trattato deel Tour più combattuto della storia.  E poi quelle tante tappe piatte nella prima settimana proprio non vanno giù.

Alejandro Valverde e Richie Porte. Senza voto: avrebbero potuto far saltare il banco, sono saltati loro malgrado sull’asfalto.

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