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Elogio di Andrea Pirlo: il Maestro che del calcio ha fatto un’Arte

Anche il Maestro ha deciso di smettere. Andrea Pirlo ha annunciato il suo addio al calcio, lasciando commozione dietro di sé. Chi ama il calcio però lo ringrazierà sempre.

Come fare diversamente, d’altronde, davanti a colui che – come un silenzioso, introverso e geniale Maestro – ha dispensato non calcio, ma poesia e arte allo stato puro; in poche parole, Calcio con la C maiuscola? Andrea Pirlo ha per sempre cambiato il modo di concepire il ruolo del centrocampista, coniando nuovi epiteti per ruoli e giocate che prima non esistevano.

Ecco che dopo di lui si è iniziato a parlare di ‘mediano alla Pirlo’, di ‘playmaker alla Pirlo’ – sdoganando dal basket un termine che nel calcio non era mai esistito -, di ‘lancio alla Pirlo’, di ‘punizione alla Pirlo’.

A tutto il popolo calciofilo resterà in mente per sempre l’assist no-look di Dortmund a Germania 2006, quello che al 119’ consegnò a Fabio Grosso e alla Nazionale l’autostrada per andare in finale ed entrare nella gloria eterna del pallone mondiale.

Pirlo però non è stato solo quello – e per fortuna. Solo all’epoca dell’Inter non andò granché bene, ma lì il talento bresciano giocava in un ruolo non suo. O meglio, non ancora suo. Fu nell’apprendistato nel Brescia di Roberto Baggio nel 2001 che Andrea Pirlo cominciò a giocare nel ruolo che divenne poi suo: quello di regista basso. Alla Pirlo, appunto. La verticalizzazione per il Divin Codino in Juventus-Brescia del maggio di quell’anno fa venire ancora i brividi: sia per quello che fu l’esatta conclusione del lancio (parliamo di Baggio, signori!) sia per l’estro con cui l’allora numero 5 delle Rondinelle lanciò il suo capitano.

Da allora, dopo la cessione dall’Inter al Milan, di acqua sotto i ponti per Pirlo ne è passata: un’acqua fatta di invenzioni magiche, colpi inverosimili – la bordata del Tardini di Parma dai 40 metri fa venire giù scrosciate di applausi ancora adesso, che sono passati sette anni – sapienza tecnica al servizio della squadra, manna per i bomber e i loro allenatori. Insomma, Poesia.

In oltre 23 anni di carriera Andrea Pirlo ha vinto tutto quello che c’era da vincere: i dieci al Milan i più fruttuosi (con 2 Champions, 2 Supercoppe UEFA e un Mondiale per club); i quattro alla Juventus quelli che gli hanno consentito di incrementare il bottino di scudetti (sei). E poi, il Mondiale: quel Mondiale lì; quello di Lippi, Grosso e dello schiaffone ai tedeschi in semifinale; fino al rigore poetico di Berlino e la Coppa del Mondo alzata al cielo.

I 73 gol in 756 partite in carriera non dicono niente del calciatore che, a 38 anni, ha deciso di lasciare il calcio svestendo l’ultima maglia, quella azzurra oltreoceano del New York City. I gol, per uno come Pirlo, erano solo l’ultimo, geniale corollario, di una presenza in campo che è sempre stata monumentale: condita, certo, da gol pesantissimi. Gli juventini ricorderanno, per sempre, la bordata terrificante a 2” dalla fine del derby di Torino del novembre 2014: roba che solo il Maestro poteva pescare dal cilindro.

Per tutti questi elementi uno come Pirlo mancherà – tanto, assai, purtroppo terribilmente – a tutto il mondo calcio. Specie a un’Italia che, nella settimana decisiva per l’approdo al Mondiale, viaggia smarrita a centrocampo senza uno straccio di idea di gioco. Quello che invece l’asso di Brescia ha dispensato in ogni modo, declinato in ogni coniugazione, in questi anni già passati e che saranno indimenticabili.

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