Il Giro d’Italia 2018 è giunto al termine: ecco vincitori e vinti dell’edizione 101.
Chris Froome è un vincitore, anzi, IL vincitore. Non solo perché ha portato a casa il Trofeo Senza Fine, la Maglia Rosa e anche la Tripla Corona, bensì perché ha avuto il coraggio di accettare una sfida inedita, quella di presentarsi a gareggiare nel nostro Paese, resa ancor più ardua dai contorni e dalle nubi incerte che lo avvolgono per i noti casi extrasportivi. Esce più umano, per questo più grande.
Tom Dumoulin è un vincitore. Non ha centrato il bis, il leader del Team Sunweb, ma ha corso da campione – malgrado i presunti errori tattici verso Bardonecchia – e ha chiuso appena alle spalle del più forte. Lui, il nuovo Indurain, sincero, ha proferito: “Non è arrivata la vittoria, ma la conferma”.
Miguel Angel Lopez è un vincitore. Ha chiuso sul podio alla prima vera occasione concessagli dalla sua squadra e ha portato a casa la maglia bianca di miglior giovane. C’è anche lui, tra i tanti colombiani in grado di lottare per un Grand Tour.
Richard Carapaz è un vincitore. Alzi la mano chi avrebbe puntato su questo mezzo sconosciuto ecuadoregno, mandato dalla Movistar a fare il leader al posto del trio di capitani dirottati sul Tour. Scommessa vinta da parte di Eusebio Unzue, e il quarto posto, con tanto di vittoria a Montevergine, ne è l’esempio.
Domenico Pozzovivo è un vincitore. Mimmo non tradisce mai: un passaggio a vuoto sul Colle delle Finestre gli è valso un possibile podio, ma il leader della Bahrain – Merida è stato il migliore degli italiani e ha confermato, a 36 anni, che la costanza è davvero il suo punto forte. Se la condizione lo permetterà, sarà un valido elemento a sostegno di Nibali ai prossimi Mondiali di Innsbruck.
Elia Viviani e la Quick Step Floors sono vincitori. Cinque le vittorie della formazione belga, quattro delle quali a firma del velocista veronese (sua anche la maglia ciclamino), che di successi da inizio stagione ne ha già ottenuti dieci. Prima di tornare alla pista in ottica Tokyo 2020, finalmente può godersi la meritata popolarità su strada.
Simon Yates è un vincitore. Ha terminato a oltre un’ora la maglia rosa, ma lui quel simbolo del primato l’ha indossato per tredici giorni, vincendo anche tre tappe. Doveva essere il suo compagno Esteban Chaves (un vinto) il capitano della Mitchelton – Scott, alla fine è emerso lui, che dovrà certamente migliorare in efficienza su tre settimane, ma è sulla buona strada. Applausi all’intera squadra, anch’essa in grado di festeggiare cinque acuti parziali.
Thibaut Pinot è un vincitore. Il podio l’ha fallito per il secondo anno consecutivo, ma un francese che ama il Giro anziché il Tour merita tutto il nostro appoggio. E per il Giro ha dato tanto, fin troppo: è finito all’ospedale e non ha potuto godersi lo spettacolo dei Fori Imperiali, ma va ringraziato per il suo amore al nostro Paese.
Enrico Battaglin è un vincitore. Lo aspettavamo da quattro anni e il Batta ha finalmente risposto “presente!” Che bello vederlo nuovamente là davanti, lui che può ancora dare tanto alla causa italiana nelle prove di un giorno mosse.
Androni – Sidermec è una vincitrice. Eccezionale la condotta di gara degli uomini di Gianni Savio, sempre all’attacco giorno dopo giorno. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di tanto fumo e niente arrosto, in realtà di risultati concreti sono arrivati: Davide Ballerini premiato sul podio di Roma per la classifica dei traguardi volanti e per la combattività generale, Marco Frapporti per la graduatoria dei chilometri in fuga. Onore anche all’attaccante Fausto Masnada e a Mattia Cattaneo, terzo a Prato Nevoso. Promossa anche la Bardiani-Csf, messasi in mostra in particolar modo con Giulio Ciccone, talento grezzo ancora da raffinare.
Fabio Aru è un vinto. Arrivato al Giro con grandi ambizioni, non è mai stato protagonista, se non in negativo, e ha gettato la spugna prima dell’epilogo. Difficilmente avrebbe potuto contrastare Froome e Dumoulin, ma il Cavaliere dei Quattro Mori al massimo livello vanta pur sempre una Vuelta e un quinto posto al Tour e si sarebbe ben comportato al cospetto degli avversari. Dovrà analizzare i motivi di tale debacle e rimboccarsi le maniche: la stagione è ancora lunga.
Diego Ulissi è un vinto. Rimaniamo in casa UAE, brutta copia di se stessa: il Giro è la sua casa, quella in cui finora è meglio riuscito ad esprimersi, ma stavolta, pur tenendo conto degli impegni di gregariato in favore di Aru, si è fatto vedere poco poco davanti. Troppo poco per essere promosso.
La Wilier – Selle Italia è vinta. La coppia Scinto-Citracca perde ancora colpi: Jakub Mareczko parte bene con un secondo posto, ma poi si perde e infine si ritira; fa incetta di vittorie oltreoceano, è ora di dimostrare le sue qualità anche quando conta. Va detto che al Giro 101 la squadra lo conquista un premio: è la maglia nera di Giuseppe Fonzi.
Sono vinte quelle squadre che ancora una volta non credono nel Giro e preferiscono puntare altrove oppure che concludono la Corsa Rosa con un nulla di fatto: la Ag2R La Mondiale, già concentrata sul Tour di Bardet; la Dimension Data, il cui leader Louis Meintjes sembra andare indietro come un gambero anziché progredire; la BMC, che ha pur vinto una tappa con Rohan Dennis (anche in maglia rosa), ma che ha dirottato altrove i suoi pezzi pregiati; la EF Drapac, che non è riuscita a raccogliere nulla con Sacha Modolo e Michael Woods; la Trek-Segafredo, mai davvero nel vivo dell’azione; la Israel Cycling Academy, invitata d’obbligo, la quale, nonostante una importante campagna acquisti, non è andata oltre il secondo posto di Ruben Plaza a Prato Nevoso.