È finita. Francesco Totti ha appena giocato la sua ultima partita da capitano della Roma; l’Olimpico gli ha tributato tutti gli onori, lui s’è commosso.
Un figlio, un idolo, un monumento di Roma: l’ultimo e ottavo Re della Capitale, come sentenziano già da anni gli striscioni della Curva Sud e non solo. Lui, Francesco Totti, romano e romanista, il calciatore-simbolo che più di ogni altro ha incarnato sotto la sua pelle e nei suoi scarpini il sentimento di un popolo intero, quello giallorosso, che lo ha osannato e celebrato in tutte le vesti facendone una bandiera. L’ultima, in un calcio italiano convertito ai soldi facili, al successo facile, alle vittorie facili.
Francesco Totti è un vanto. Per tutti coloro, non solo tifosi romanisti, che ne hanno apprezzato le gesta in questi 24 anni di onorata carriera. Francesco Totti ha accompagnato un quarto di secolo di calcio italiano e di storia italiana, e non poteva congedarsi che cosi: nell’abbraccio da bagno di folla di un intero stadio che ha scandito il suo nome per tutti i 90’, dal primo all’ultimo momento, sin dalle fasi di riscaldamento e poi durante la partita, esplodendo letteralmente di gioia ed emozione quando al 54’ Spalletti ha deciso di gettarlo nella mischia per la sua ultima sul prato verde dell’Olimpico.
Totti poi ha chiuso vincendo, un 3-2 di capitale importanza per la sua Roma che nella prossima stagione, ad agosto, inizierà direttamente col campionato e con lo spauracchio dei preliminari di Champions che l’anno scorso le sono stati fatali. Totti, si diceva, ha chiuso vincendo, e si è consegnato dopo il 90’ alla sua gente, ai suoi colori, alla sua Roma.
Mentre sotto scorrevano le musiche del Gladiatorie, del Re Leone, di Morricone e de La vita è bella, oltre all’immancabile inno vendittiano e a Roma Capoccia, Totti ha fatto il giro del campo. E ha pianto. Fra le lacrime di commozione di tutti: sugli spalti, in tribuna stampa e in campo.
Le lacrime del capitano sono partite quando, dopo il rientro in campo per l’ovazione, davanti a Totti si sono parati la moglie Ilary e i figli Cristian, Chanel e Isabel. Le lacrime l’hanno accompagnato durante tutto il giro d’onore. È stato un inchino continuo: lui allo stadio e lo stadio a restituirglielo, coi compagni (De Rossi, ma anche Florenzi, Manolas, Nainggolan, El Shaarawy e Emerson, con le stampelle) a fargli da copertina.
Commovente pure il discorso di addio, preparato con Ilary. Una battuta scherzosa per stemperare la commozione: «Se non ce la faccio continua lei ché non vede l’ora, in questi giorni piangevo a casa da solo come uno scemo». Poi la lunga lettera, un manifesto della sua romanità: «Grazie Roma, grazie a mamma e papà, grazie a mio fratello, ai miei parenti, ai miei amici. Grazie a mia moglie e ai miei tre figli. È impossibile raccontare ventotto anni di storia in poche frasi. A un certo punto della vita si diventa grandi, così mi hanno detto e così il tempo ha deciso. Maledetto tempo. Oggi questo tempo è venuto a bussare sulla mia spalla dicendomi: Dobbiamo crescere, da domani sarai grande, levati i pantaloncini e gli scarpini, perché tu da oggi sei un uomo e non potrai più sentire l’odore dell’erba così da vicino. Io voglio dedicare questa lettera a tutti voi – ha aggiunto – ai bambini che hanno tifato per me, a quelli di ieri che ormai sono cresciuti e forse sono diventati padri e a quelli di oggi che magari gridano Tottigol. Mi piace pensare che la mia carriera diventi per voi una favola da raccontare. Ora è finita veramente. Mi levo la maglia per l’ultima volta. La piego per bene anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai (e dagli spalti in tanti urlano, “nooo!”, ndr). Spegnere la luce non è facile. Adesso ho paura. E non è la stessa che si prova di fronte alla porta quando devi segnare un calcio di rigore. Questa volta non posso vedere attraverso i buchi della rete cosa ci sarà dopo. Concedetemi un po’ di paura. Questa volta sono io che ho bisogno di voi e del vostro calore. Nascere romani e romanisti è un privilegio, fare il capitano di questa squadra è stato un onore. Siete e sarete sempre la mia vita: smetterò di emozionarvi con i piedi ma il mio cuore sarà sempre lì con voi. Ora scendo le scale, entro nello spogliatoio che mi ha accolto che ero un bambino e che lascio adesso, che sono un uomo. Sono orgoglioso e felice di avervi dato ventotto anni di amore. Vi amo».
Quest’articolo è stato scritto al passato prossimo. Per aumentare la malinconia di un momento indelebile, passato già e già scolpito nella memoria degli appassionati di calcio. Al di là di Totti, domani il pallone italico non sarà più lo stesso.